Intervista al Professore Girolamo Lo Verso su Mafia e fenomeno mafioso in occasione della pubblicazione del libro:
“Quando Giovanni diventò Falcone”
A cura di Tiziana Marinaci e Maria Rita Infurna
I fenomeni sono osservabili a partire dalle lenti dell’osservatore, a partire dagli strumenti teorici e metodologici-clinici con cui gli si osserva. È l’incipit con cui il Professore Lo Verso ci introduce al libro “Quando Giovanni diventò Falcone”. Un libro che prova a riportare l’attenzione sulla storia dell’uomo e del magistrato che ha dedicato la propria vita nella lotta alla mafia. Una storia di contaminazioni, amicizia, professionismo, impegno etico e sociale. Una modello interpretativo complesso della Mafia e del fenomeno mafioso attraverso le lenti della gruppoanalisi.
Parole chiave: Giovanni Falcone, Mafia, fenomeno mafioso, gruppoanalisi
I fenomeni sono osservabili a partire dalle lenti dell’osservatore, a partire dagli strumenti teorici e metodologici-clinici con cui gli si osserva. È l’incipit con cui il Professore Lo Verso ci accoglie nell’intervista fatta in occasione della pubblicazione del libro “Quando Giovanni diventò Falcone”, edito dalla casa editrice Pan di Lettere.
Un libro che prova a riportare l’attenzione sulla storia dell’uomo e del magistrato che ha dedicato la propria vita nella lotta alla mafia e che, come sottolinea il professor Lo Verso, è stato barbaramente ucciso perché credeva nella giustizia e odiava la “supirchiaria” (la prepotenza del più forte).
Nel trentennale della scomparsa di Giovanni Falcone (l’occasione è solo un caso fortuito, ci tiene a sottolineare il professore Lo Verso) il libro rappresenta “un gesto d’amore e anche etico: il ricordo di una persona, il proseguire la sua battaglia: l’impegno antimafia.”
Ma “Quando Giovanni diventò Falcone” è anche un una storia di contaminazioni, di amicizia, di professionismo e di impegno etico e sociale.
È la storia di un magistrato raccontato da chi lo ha conosciuto e vissuto come amico, come professionista e come studioso dei fenomeni sociali.
È, la restituzione, il riconoscimento e la valorizzazione di un metodo, “un metodo analitico” e rivoluzionario, che l’operato di Falcone ci ha consegnato e lasciato in eredità.
È, non da ultimo, una concisa, ma rilevante, resocontazione di un lungo, dedito e sapiente, lavoro di ricerca sulla mafia e sul fenomeno mafioso.
La prima parte del libro è dedicata all’amicizia, di un magistrato e di uno psicoterapeuta, che si ritrovano nello stesso periodo a vivere a Palermo, entrambi per motivi professionali.
Come ci racconta il professore Lo Verso: “parto da dati affettivi, personali, io conoscevo Giovanni, che era un normale magistrato, una persona, una persona a cui piaceva il whisky, con mia polemica, che amava la moglie e con cui ovviamente litigava, come accade a tutti noi persone normali; era un grande lavoratore, si alzava alle 4/5 della mattina, faceva ginnastica e studiava ” ma allo stesso tempo, tiene a sottolineare, aveva un’altra grande dote, diversamente da molti altri magistrati o operatori di giustizia, che per dovere o per volere si ritrovano ad assumere questa parte, lui non era un eroe e non assunse mai quel ruolo!” […] “Giovanni non aveva niente del martire, dell’eroe, era tenace, era logico, era etico, ma gli piaceva vivere”, ma allo stesso tempo “era profondamente consapevole che il potere mafioso lo avrebbe fatto fuori… in questo si, si alla fine era un eroe, però lo definiamo più un rivoluzionario, forse più che un eroe, di fatto era un rivoluzionario, capì tante cose, impostò tante cose, in mezzo a infinite incomprensioni.”
Quello che qui il professore Lo Verso ci restituisce è la storia dell’uomo, delle relazioni che lo hanno attraversato e del contesto sociale e culturale entro cui la storia di Giovanni è diventata quella del magistrato Falcone, della lotta alla mafia e dell’elaborazione di un metodo di indagine rivoluzionario: “il suo metodo io l’ho definito in parte di tipo analitico, perché si basa su una capacità, quella di cercare di capire l’altro per quello che lui pensa di essere, non per quello che tu pensi che lui sia. Questo è quello che lui fece con Buscetta. Lui capì che Buscetta non si sentiva un delinquente, ma lui si sentiva un generale di uomini d’onore. Giovanni Falcone capì questo pur mantenendo i ruoli come avviene in terapia, cioè Buscetta restava un delinquente, mafioso, lui restava un giudice, ed era chiaro per entrambi, non c’erano ammiccamenti o collusioni.”
Un metodo che ci ha consegnato, come sottolinea ancora il professore Lo Verso, anche l’eredità più importante di Giovanni Falcone, ossia il riconoscimento che la Mafia non può essere considerata una semplice organizzazione criminale. La Mafia esiste, ed ha caratteristiche che la distinguono da altre forme di criminalità organizzata. Dalla morte di Falcone, nessuno ha più potuto dire la Mafia non esiste.
A conferma di questo ci sono anche le ricerche e i contributi conoscitivi riportati nella terza parte del libro e che il professore Lo Verso ci racconta da due prospettive differenti: quella relativa al contributo fondamentale della psicologia e in particolare delle lenti con cui è stato possibile riconoscere e osservare il fenomeno mafioso: ossia la “gruppoanalisi soggettuale”; dall’altra quella relativa al “problema” con cui la professione psicologia deve confrontarsi. Perché ci sottolinea “omologare la Mafia e la cultura mafiosa significherebbe fare un grande errore, significherebbe regalare alla Mafia la Sicilia. Mafia e cultura mafiosa sono due cose contigue ma totalmente diverse.”
Rispetto alla prima prospettiva, quello che il professore Lo Verso ci rimanda è la dimensione sistemica della Mafia. “La Mafia è un sistema antropologico identitario, poi è uno Stato, poi ha le forze di polizia, controlla il territorio… ma dal nostro punto di vista c’è un dato molto particolare, a cui siamo arrivati perché prima abbiamo lavorato tanto con la gruppoanalisi soggettuale, e cioè il fatto che l’Identità IO del mafioso è sovrapposta all’identità NOI… come tutti i fondamentalisti.”
Concettualmente anche questa una rivoluzione, che attraverso le lenti del transgenerazionale, ci ha consentito di riconoscere le dinamiche sottostanti alla dimensione identitaria del mafioso e del sistema famiglia entro cui queste identità originano e si muovono.
Dalla seconda prospettiva la sottolineatura riguarda il fatto che il lavoro con la mafia, la criminalità organizzata e derivati, per il mondo psicologico clinico deve essere considerato, ci ribadisce il professore Lo Verso, anche un problema professionale, non solo politico, democratico e di scienza.
La questione ha a che fare ad esempio con le perizie, i lavori in carcere, le vittime, dirette e indirette, che si possono incontrare anche in psicoterapia. Qui il focus è una linea continua con il punto precedente, riguarda il fatto che la lettura del fenomeno è riconoscibile solo se si hanno a disposizione gli strumenti per osservarla e per riconoscerne la specificità e complessità delle sue dinamiche.
Un esempio che ci viene restituito, immediato anche per i risultati clinici che ne sono derivati, è quello di una ricerca che il professore ci racconta, in collaborazione con la prof.ssa Cecilia Giordano, con gruppi di commercianti che aderivano all’associazione antimafia Addiopizzo. Gruppi che si componevano sia da commercianti che avevano subito realmente minacce, pressioni, ricatti dalla mafia e si erano ribellati, che da commercianti che non avevano mai subito direttamente questo tipo di pressione.
“Quello che venne fuori e che tutti e due i gruppi, vivevano con emozioni, paure, fantasie e sogni, le stesse cose. Cioè nella realtà palermitana di allora, l’elemento del fantasticarci su e l’elemento di vivere la cosa, non cambiava molto. Un dato clinico realmente stupefacente, come tante cose stupefacenti sono uscite in tutti questi anni di ricerca.”
Entrano qui in gioco gli elementi di co-transfert o di campo co-transferale (Lo Verso, 1989, 1994) che i contribuiti teorici del professore Lo Verso ci hanno insegnato a cogliere, ossia, quello che di sé stesso l’analista mette nella relazione e che appartiene a lui e alla sua storia psichica, negli specifici contesti in cui ha luogo la relazione terapeutica (Di Maria & Giannone, 1998; Giannone & Lo Verso, 1998).
Quello stesso contesto Siciliano che il professore Lo Verso prova anche a raccontarci rispetto al cambiamento. Una Sicilia che diversamente da 26 anni fa, quando il lavoro di ricerca ha avuto inizio, non è rimasta la stessa: “è cambiata la repressione, giudici e carabinieri sono più repressivi, è cambiato il ruolo della chiesa che ha preso posizioni più forti”, è cambiato il più ampio contesto culturale, che si apre a maggiori occasioni di confronto e di dialogo sul fenomeno (un esempio è il primo convegno, nel mese di maggio, organizzato dall’ordine degli psicologi di Sicilia sulla Mafia)
Sebbene una paura sembra ancora rimanere nelle parole del professore Lo Verso, e non quella strettamente connessa alla Mafia, ma quella principalmente connessa “a certi ambienti che ti guardano con una certa indifferenza, fastidio, perché porti di fatto l’etica!”, quella connessa all’indifferenza di chi pensa che la Mafia non ti tocca da vicino, che è un affare che riguarda solo l’Altro.
Ebbene questa è una paura che condividiamo e che proviamo in questo spazio a richiamare per rimetterla in primo piano, perché possa diventare oggetto parlabile e dimensione trasformativa.
Il contributo del professore Lo Verso rappresenta in questo senso un’occasione per perseguire questo cambiamento, la possibilità di attraversarlo e al contempo di nutrirlo.
Giannone, F., Lo Verso, G. (1998). I presupposti epistemologici. In S. Di Nuovo, G. Lo Verso, M. Di Blasi, F. Giannone (1998), Valutare le Psicoterapie. La ricerca italiana. FrancoAngeli
Lo Verso, G. (1989). Clinica della gruppoanalisi e psicologia. Bollati Boringhieri.
Lo Verso, G. (1994). Le Relazioni soggettuali. Bollati Boringhieri.
Lo Verso, G. (2022). Quando Giovanni diventò Falcone. Pan di Lettere
Tiziana Marinaci: psicologa clinica e specializzanda psicoterapeuta ad orientamento gruppoanalitico. PhD in Human and social sciences presso l’Università del Salento
Maria Rita Infurna: Psicologa clinica e Psicoterapeuta gruppoanalista, Dottorato di ricerca in Scienze Psicologiche e Sociali conseguito presso l’Università di Palermo e l’Università di Heidelberg (Germania); docente presso la ITER e Ricercatrice in Psicologia Dinamica presso l’Università degli Studi di Palermo.