A cura di Azzurra Giaimis, Ottavia Galiero
Abstract
Il periodo storico vissuto nel corso di questi ultimi due anni (2020/21) ha segnato un cambiamento molto importante per le diverse comunità, impegnate tutte a fare i conti con una nuova realtà: il Covid-19. Di fronte ad un tale sconvolgimento, ci si è chiesto che senso si potesse dare per affrontare nel migliore dei modi quanto andava avvenendo. Nel presente elaborato si propone l’ottica gruppoanalitica come vertice di osservazione e intervento, con la quale presentare un progetto di ricerca/intervento inter-istituzionale, in ambito scolastico, attivato durante il periodo post-Covid e utile per riflettere sull’impatto psicologico di quanto vissuto, anche in relazione all’evoluzione del digitale. In particolare, quanto emerso, stimola a guardare sempre di più verso la direzione di una psicologia della convivenza che sappia utilizzare le conoscenze e gli strumenti acquisiti per sostenere le comunità nel cambiamento. L’evento della pandemia da Covid-19 non sarebbe stato tanto impetuoso se non avesse messo in crisi l’essenza degli esseri umani ma, proprio in ragione di tale essenza, può essere riconosciuta nel suo valore di risorsa e alimentare una cultura della convivenza.
Parole chiave: gruppoanalisi, reti digitali, convivenza, complessità, Covid-19
1. Premesse
Il 2020 è stato un anno complesso per l’intera comunità, in quanto l’ha vista confrontarsi con una prova molto difficile, sotto diversi punti di vista: la pandemia da Covid-19. Quanto è accaduto, infatti, dalle prime comunicazioni ufficiali dell’OMS fino ad oggi, ha assunto il carattere dell’urgenza e dell’eccezionalità. Se ne parla in termini di emergenza sanitaria, ad indicare lo stato di assoluta urgenza e difficoltà. L’etimologia del termine, dal latino emèrgere, indica il venire a galla di cosa tuffata, sorgere, innalzarsi, risaltare. Qualcosa dunque che, da un basso, viene in alto, si manifesta, si fa conoscere, in quanto è nuova rispetto a ciò che fino al momento della sua emersione è conosciuto. Prima del 2020, non si conosceva il virus Covid-19, così come le linee di intervento, le procedure, i farmaci, le cure. L’eccezionalità dell’evento e la velocità con cui il virus mieteva vittime, diffondendosi in modo esteso, ha inizialmente mandato in tilt il sistema sanitario prima e l’intero paese poi, con riferimento all’Italia che è stato il primo paese ad essere colpito dal virus, dopo la Cina. Da diverse parti ci si è chiesti con cosa si avesse a che fare. Un virus che ha costretto l’umanità, per molto tempo, forse più di quanto non fosse per sua natura in grado di tollerare, una distanza fisica. Un allontanamento dovuto, all’inizio, come difesa e assunto poi come misura precauzionale per evitare il diffondersi del contagio. Si è dovuto fare a meno dei baci e degli abbracci, si è dovuto persino costringere il lutto all’isolamento, privando le persone di stare accanto ai propri cari e donare loro l’ultimo saluto. Di fronte ad un tale sconvolgimento, ci si è chiesto inoltre che senso si potesse dare per affrontare nel migliore dei modi quanto andava avvenendo, di giorno in giorno. Ebbene, si ritiene che, in questo senso, l’ottica gruppoanalitica, possa offrire il suo contributo in quanto, per sua natura epistemica, lavora con la complessità. Tale visione, infatti, accoglie il caos per partire proprio da esso e generare nuove forme di significazione dalla possibilità di far dialogare le diverse parti che lo animano. Come agiscono i gruppi? Come pensano? Cosa può l’uomo solo e cosa può invece se è in relazione con l’altro o con più altri? L’ottica gruppoanalitica non considera semplicemente il gruppo come l’insieme di più persone, ma ne accoglie i mondi interpersonali e le diverse relazioni tra di essi, accoglie inoltre quel movimento gruppale che è tale in quanto nuova co-costruzione delle persone che lo animano, che lo vivono. Gruppo come realtà nuova, di gruppo in gruppo. Ma quanto può avere senso tutto ciò in relazione a quanto abbiamo vissuto nel periodo della pandemia? Appare qui utile iniziare dalla considerazione di Di Maria1 che vede la socialità come la capacità di vivere insieme, propria dell’essere umano. Non qualcosa che l’uomo ha imparato con il tempo, piuttosto ciò che ha permesso all’uomo, nei secoli, si continuare ad esistere ed evolversi. Convivere dunque, spiega l’autore, non è sopravvivere, ma attiene alla dimensione relazionale. Con-vivere è vivere con l’altro, imparare da questo e trovare forme responsabili e competenti di far vivere sé stessi con gli altri e dunque con i gruppi (ibidem). Il vivere sociale, però, è continuamente esposto a crisi cui le comunità devono imparare, di volta in volta, a fare i conti. In questo senso, una cultura della convivenza, in ottica gruppoanalitica, può essere utile per rendere le comunità maggiormente in grado di produrre significati flessibili e utilizzabili nelle pratiche sociali.
In tale visione, il lavoro che qui si intende proporre è centrato sulla trattazione teorica gruppoanalitica che possa aiutare a leggere il fenomeno della pandemia da Covid-19 e il suo impatto sulla vita inconscia dei gruppi.
2. Contributo della Gruppoanalisi come modello di lettura complesso: “Sindemia” da Covid-19
Il periodo storico attuale, segnato dalla presenza della pandemia da Covid-19, appare caratterizzato, sin dal suo inizio, da uno scenario di generico caos, in cui ogni certezza viene messa puntualmente in discussione. Nel corso dell’ultimo anno (2020/21) infatti abbiamo assistito a crisi profonde nei diversi ambiti della nostra società: economia, sanità, lavoro, istruzione e così via. Ognuno di essi è stato sottoposto a cambiamenti che, in modo forte e impetuoso, hanno segnato un prima e un dopo. La realtà, per come si è andata a costituire nel tempo, ha costretto la società moderna a interrogarsi sul proprio modo di “essere”, portando a forti revisioni del proprio quotidiano, in particolare per la società occidentale centrata più su una posizione individualista e altamente competitiva. Eppure, o forse in ragione di uno scenario così catastrofico, abbiamo dovuto attraversare l’ipotesi dell’importanza di una visione globale e condivisa per trovare – o quanto meno provare – le soluzioni più efficaci al superamento di una crisi senza precedenti. Un problema complesso dunque che, in quanto tale, richiede uno sguardo altrettanto complesso. In questo, appare utile osservare il fenomeno del Covid-19 a partire dal vertice di osservazione gruppoanalitico come dispositivo metodologico di lettura dei fenomeni e dei contesti. La teoresi gruppoanalitica si è potuta arricchire nel tempo di preziosi contributi derivanti anche da diverse discipline. Gli aspetti però che qui si vuole rendere salienti sono strettamente connessi al paradigma della complessità (Morin, 1993), alla natura interpsichica della mente e all’ipotesi dell’esistenza di un inconscio gruppale, provando così a delineare l’idea per cui la realtà, costituita da più parti: richieda il passaggio da una visione unitaria e organizzata da leggi precise, ad una visione in continuo cambiamento (Di Maria, Formica, 2009); sia il prodotto di una co-costruzione gruppale e condivisa; in quanto tale influenza la vita inconscia dei gruppi. Per Morin non è possibile osservare e studiare la realtà separandola dal contesto in cui essa avviene e dove, allo stesso tempo, è presente l’osservatore, il quale recupera un ruolo attivo nel processo di conoscenza della realtà. In questo senso, la gruppoanalisi coglie l’invito a guardare le diverse parti, il caos, gli eventi, provando a integrarli attraverso una logica “e/e” più contenitrice e generativa rispetto alla logica “o/o” tendente alla dicotomizzazione. A Foulkes (1973), pioniere della gruppoanalisi soggettuale, si deve l’ipotesi del fondamento storico-relazionale della psiche individuale (Giorgi, Lo Verso, 2008). Egli, infatti, sosteneva che l’individuo non fosse attraversato soltanto da dinamiche interne, come pensava Freud nella strutturazione delle topiche, quanto piuttosto da dinamiche esterne, caratterizzate da un sociale che non è esterno ma è interno e che, in quanto tale, influenza profondamente la personalità individuale. Per Foulkes, inoltre, l’individuo è inteso come il punto nodale di una rete di rapporti inconsci ed il gruppo la matrice della vita mentale dell’individuo, favorendo così il passaggio da una concettualizzazione intrapsichica ad una interpsichica della natura della mente. La considerazione della natura interpsichica della mente cambia anche il modo di intendere il rapporto tra mente e corpo: come spiegano gli autori Giorgi e Lo Verso (2008) tale rapporto può evolvere da una visione duale e frammentata ad una unita e integrata grazie al concetto di relazione.
È possibile considerare la concezione triadica mente/corpo/relazione come il contenitore in cui, attraverso una modalità circolare, tali elementi vengono considerati come collegati l’uno all’altro, vertici di osservazione interdipendenti tra loro. “Non vi potrebbe essere uno sviluppo della sfera corporea o psichica senza la relazione con l’esterno. È l’interazione di questi tre elementi che giustifica il rapporto dell’uomo con il suo mondo esterno e quello interno” (Di Maria, Formica, 2009, pag. 54). In questa ottica è forse possibile iniziare a esplorare l’impatto psicologico che l’attuale pandemia ha generato. Da quando il Covid-19 è entrato nelle nostre vite abbiamo dovuto fare i conti con il lutto di una realtà non più possibile. Presenza, vicinanza, contatto sono diventate dimensioni di alto rischio. La presenza fisica ha dovuto lasciare il posto alla presenza digitale. Tale passaggio non è stato neutrale, né scontato ed ha impattato profondamente sulla vita inconscia degli individui e dei gruppi. Per tale ragione, appare più utile oggi avviare una narrazione sul Covid-19, attraverso l’utilizzo del costrutto di sindemia, formulato già nel 1990 dall’antropologo Merrill Singer e ripreso ultimamente sia dalla rivista The Lancet (2020), che dal gruppoanalista E. Hopper2 (2021). Il costrutto di sindemia, infatti, permette di allargare lo sguardo e ampliare la riflessione sugli effetti sociali e psicologici legati all’esperienza di Covid-19, in linea con una visione gruppoanalitica. Il termine sindemia vuol dire “insieme al popolo” e, così come formulato da Singer, si riferisce agli effetti negativi che coinvolgono la società nel suo insieme, dovuti alla concomitanza di due o più patologie, come è il caso dell’interazione tra il virus Covid-19 e la diffusione di malattie croniche: malattie cardiovascolari, tumori, diabete, etc.3 La concomitanza tra due o più “problematiche” inoltre è stata rintracciata non solo in ambito sanitario/medico ma anche in ambito socio-economico, allargando ancora di più il divario sociale ed accentuando le minoranze (Selva, 2020). Inoltre, e questo è un dato che viene messo spesso in evidenza, a causa della diffusione dell’emergenza sanitaria, si è parlato molto anche del disagio psicologico4. Così, ragionare sul termine sindemia piuttosto che pandemia da Covid-19, permette di evidenziare non solo la messa in crisi del corpo, ma anche del sociale, della psiche e delle relazioni in un’ottica sistemica e gruppale.
3. L’immaginario gruppale come fondamento delle pratiche sociali
Secondo una visione semiotica e culturale (Salvatore et al., 2019), il senso dato all’esperienza di Covid-19 rappresenta il precipitato simbolico di un particolare modo di connotare l’esperienza. Come spiega Venuleo (2020), “l’impatto, psicologico e sociale, della pandemia è mediato dai processi di costruzione del significato; processi che non si sviluppano nel vuoto sociale, né sono una semplice reazione ad un nuovo problema emergente, ma riflettono condizioni psicosociali e si alimentano delle risposte e dei discorsi istituzionali”. La teoria della psicologia semiotica e culturale – SCPT – (Salvatore et al., 2019) postula il costrutto di “sensemaking” (Salvatore, 2015) ad indicare la particolare modalità della mente di produrre un’attività semiotica di costruzione dei significati. Secondo tale teoria pertanto, l’essere umano, interpreta la realtà che lo circonda attraverso l’utilizzo, per grande parte implicito, di pattern generalizzati di significato in grado di orientarne l’esperienza. Tali pattern però non sono costituiti soltanto da schemi procedurali intrapersonali ma si alimentano e si sostanziano all’interno della relazione con l’altro. Per tale ragione, il processo di produzione di significato non è intrinsecamente individuale e personale, ma intersoggettivo e transculturale in quanto genera e, a sua volta, viene generato da scambi comunicativi, relazionali e simbolici che sostanziano le pratiche sociali (Salvatore et al., 2019). È possibile iniziare a considerare il particolare modo della psiche di entrare in relazione con l’altro, ovvero attraverso una costruzione condivisa, a livello sociale, dei significati con cui interpretare l’esperienza: il concetto di psiche di gruppo permette di considerare l’esistenza di un inconscio gruppale e dei suoi effetti sui gruppi. In questo senso, la gruppoanalisi francese ha riflettuto su diverse ipotesi di ricerca legate alla formulazione del costrutto di immaginario gruppale (Anzieu, 1999), della teoria della gruppalità psichica e dei gruppi interni (Kaës et al., 2012). Secondo tali autori, infatti, il gruppo non è inteso solo nei termini utilizzati da Lewin, come messa in comune di idee, energie, entusiasmi e capacità ma rivela una natura fortemente perturbante e angosciante. Il gruppo viene quindi inteso come “la messa in comune delle immagini interiori e delle angosce dei partecipanti” (Anzieu, 2019, pag. 51) che orienta e fonda l’illusione gruppale, ovvero quell’immagine condivisa cui i gruppi aderiscono. Allo stesso modo Kaës (1999), che nutre e alimenta i contributi sulla psiche gruppale, riformula l’ipotesi che vede il gruppo come costituito da una realtà psichica propria, piuttosto considera l’azione di un apparato psichico gruppale – sorretto da organizzatori inconsci definiti anche “gruppi interni” -che contiene, trasforma e produce la realtà psichica gruppale. Si pensi allo scenario vissuto, in particolare durante il primo lockdown (2020): l’impossibilità di condividere tempi e luoghi fisici, corpi e psiche, ha attivato forti minacce per la propria identità individuale, tanto da alimentare un immaginario gruppale altamente persecutorio e ambivalente. È proprio Anzieu che spiega quanto il gruppo, in generale, rappresenti la minaccia primaria per l’individuo, il quale non può non esistere se non in funzione di una propria unità del corpo e della psiche, che il gruppo tende per sua natura a perturbare. D’altronde, la costituzione di tale unità è un processo delicato e strettamente connesso all’identità, che inizia a formarsi già dai primi mesi di vita. Ne ha parlato in modo approfondito Winnicott (1971), il quale ha formulato la funzione di rispecchiamento esercitata dalla madre, attraverso la quale, come uno specchio, può restituire al bambino ciò che lei vede, fornendogli così uno sguardo su di sé in cui riconoscersi. Questo processo permette al bambino di sperimentare nel tempo l’immagine di sé come diversa e separata da quella dell’altro, fino a riconoscere una propria identità.
4. Il trauma sociale: “Io pelle a brandelli”
Il fenomeno Covid-19 appare multifattoriale e multiproblematico per una serie di ragioni che riguardano l’essere umano, il suo agire sociale, l’insieme delle credenze, atteggiamenti e dinamiche inconsce nel loro insieme. Il Covid riguarda tutti nella declinazione più democratica del termine e restituisce una realtà ancora troppo frammentata, disorganizzata e, in certi contesti, altamente satura. Per la complessità e il forte impatto sulla collettività si può parlare di trauma sociale, in particolare nel suo legame con il corpo, privato, come più volte sottolineato, delle sue connotazioni strettamente fisiche. Così, il pensiero di Anzieu permette di cogliere spunti di riflessione utili per lo studio e la comprensione dell’impatto del Covid-19 sulla vita inconscia dei gruppi, in particolare rispetto alla delicata relazione tra mente e corpo. Per l’autore, infatti, la vita inconscia dei gruppi viene fondata a partire dalla costituzione di un immaginario gruppale, generativo a sua volta di una pelle psichica gruppale, contenitore delle immagini e dei fantasmi del gruppo, insieme agli elementi percettivi dello stare insieme fisicamente (vicinanza, sguardi, odori, suoni). Oltre al costrutto di immaginario gruppale, Anzieu inoltre formula il concetto di Io-pelle (1985), definendolo come: “la rappresentazione di cui si serve l’Io del bambino, durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi sé stesso come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo” (Anzieu, 2017, pag. 41). Per l’individuo, lo sviluppo dell’apparto psichico è strettamente legato all’esperienza corporea e in particolare all’attività percettiva della pelle a cui vengono riconosciute almeno tre funzioni: di contenimento, nella misura in cui tiene al proprio interno tutto il buono ricevuto attraverso le cure materne o altro significativo; di separazione (interfaccia) che segna il confine tra un dentro e un fuori; di relazione in quanto pretesto per stabilire un contatto significativo con l’altro, come modalità di comunicazione primaria. La funzione dell’Io-pelle è fondamentale non solo nella costruzione di un’identità fisica e psichica ma lo è per la fondazione del pensiero stesso (ibidem, pag. 42). Così come per l’individuo, inoltre, allo stesso modo, è possibile pensare una pelle psichica gruppale in grado di favorire la percezione del senso di appartenenza al gruppo, la coesione tra i membri, la funzione di contenimento e di filtro. In questo si riconosce l’impatto affettivo e inconscio dell’evento Covid-19 sui gruppi: la percezione di un “Io-pelle a brandelli” in cui non è possibile più riconoscersi.
5. Una teoria sulle reazioni gruppali alle angosce condivise
Rispetto al tema dell’identità gruppale, Hopper offre un importante contributo attraverso la formulazione di un quarto assunto di base I: A/M attivo nella vita inconscia dei gruppi dove I rappresenta il concetto di Incoesione (Teoria della non coesione), A rappresenta il concetto di Aggregazione ed M rappresenta il concetto di Massificazione. Tale assunto di base, strettamente connesso all’aspetto identitario dei gruppi, è sempre attivo ma diventa più intenso quando più persone, gruppi, società vengono attraversate dal trauma sociale (Hopper, 2007). La composizione delle lettere iniziali ne rivela l’aspetto cruciale: I AM, “Io sono”. Hopper, dunque, propone “una teoria che spiega l’affermazione dell’identità nei casi in cui l’identità è minacciata” (ibidem, pag. 21). A livello psichico, il trauma sociale genera quella che l’autore definisce paura di annichilimento, ovvero la paura di perdere la propria identità, di frantumarsi, di perdersi. Il Covid-19 ha letteralmente stravolto il nostro mondo e il modo di stare in relazione con l’altro. I grandi cambiamenti cui siamo andati incontro hanno generato, a livello psichico, un senso generalizzato di paura legata alla perdita del Sé, cui la comunità ha inizialmente risposto mediante il meccanismo di difesa della frammentazione, tipico dei grandi gruppi contro le minacce alla propria identità (Anzieu, 1999). Identità, ricordiamolo, minacciata a partire dal corpo, quindi soggetta all’attivazione di angosce primitive. Si pensi ai diversi fenomeni contrastanti che hanno generato una confusione generalizzata, su un piano collettivo, attorno alla questione dell’emergenza sanitaria: le teorie complottiste sull’esistenza stessa del virus, le criticità e resistenze al vaccino e alle misure restrittive, per fare qualche esempio. Tale clima ha permesso poi la presenza di fenomeni di fusione in grado, in qualche modo, di tenere insieme le parti che si sono disorganizzate, come ad esempio i contatti online, social, smartphone, video-chiamate che, durante il primo lockdown 2020, hanno potuto registrare un aumento esponenziale delle attività digitali, in particolare in quei paesi che hanno avuto lockdown più stretti5. In seguito alla fusione si è assistito al fenomeno della confusione: le comunità si sono organizzate attorno all’unica possibilità in grado di offrire continuità relazionale, sicurezza, senso di maggiore integrità. Da questo punto di vista, è possibile considerare Internet come il contenitore psichico di simbolizzazioni inconsce e collettive, investito di fantasie salvifiche tese a sentire meno il dolore dello sconvolgimento vissuto o, per usare le parole di Anzieu (1999), attivare una restaurazione riparatrice del legame. Un legame tra il corpo e la mente, in grado di mettere in relazione “me con l’altro” e stabilire i confini entro i quali riconoscere e riconoscersi. I fenomeni di fusione e confusione, inoltre, proprio perché legati ad una dimensione di dipendenza, sono in grado di spingere i gruppi verso la ricerca di una leadership o di un oggetto da considerare salvifico e proiettare su di esso le aspettative e le speranze legate alla risoluzione del momento di crisi. Nel corso di quest’anno, però, è stato possibile osservare come tali difese siano state, in buona parte, pericolose in quanto non hanno permesso una sufficiente elaborazione del dolore e degli effetti del trauma. Non hanno permesso di sviluppare semioticamente i significati legati all’esperienza del Covid (Venuleo e Salvatore, 2020) e dunque di connotare simbolicamente e in modo diverso quanto vissuto. Il termine “con-fusione” porta con sé l’immagine di un groviglio di elementi tenuti insieme, in assenza di una relazione chiara tra le parti; un aspetto legato all’impossibilità di agire, pensare, intervenire su quanto viene percepito. Così, immersi in un groviglio simbolico e affettivo, confusivo e generalizzato, Hopper (2007, 2021) invita a prestare molta attenzione ad entrambe le difese che costringono le persone su posizionamenti rigidi, divise nell’oscillazione tra un polo e l’altro, quello della massificazione da un lato e dell’aggregazione dall’altro. Per l’autore, gli stati di aggregazione e massificazione sono esattamente i due poli su cui oscillano i sistemi sociali non coesi, divisi tra la tendenza di creare un gruppo di persone (aggregazione) e la tendenza a costituire un nuovo fenomeno, ovvero la massa, al cui interno non si può riconoscere più un’individualità (massificazione). Per chiarire con un esempio i due fenomeni, Hopper utilizza l’immagine di un insieme di patate, isolate e singole nella loro unità, per indicare il fenomeno dell’aggregazione e il purè di patate, frutto dell’essere mischiati e amalgamati, ad indicare il fenomeno della massificazione. Tali processi, comunque attivi all’interno dei contesti sociali, non sono stabili nel tempo ma si alternano in base al grado di coinvolgimento del trauma sociale.
6. La semiotica dei significati come ipotesi di sviluppo
L’invito di Hopper a prestare attenzione ad entrambe le dinamiche difensive messe in atto a causa di forti sconvolgimenti collettivi può essere colto attraverso la lettura offerta dal paradigma socio-costruttivista, il quale pone l’attenzione sul processo di costruzione di significato proprio di ogni essere umano. Un processo sovra-ordinato, procedurale, sostanziato e orientato da dispositivi socio-simbolici, ovvero modelli di significato condivisi socialmente e continuamente alimentati dall’attività interpretativa degli attori sociali (Montesarchio, Venuleo, 2009). Ogni individuo, quando interpreta il mondo, lo fa sulla base di proprie credenze personali, aspettative, immagini fantasmatiche, costituitesi nel tempo, in ragione dei contesti che abita, delle relazioni cui fa parte e dei significati consci e inconsci che condivide socialmente. Dunque, in ragione di una propria, peculiare, modalità di significare affettivamente l’esperienza (Salvatore, 2018). Sulla base di queste considerazioni è possibile comprendere l’importanza di una narrazione che vada al di là dei significati prodotti e che permetta di guardare alla pandemia in un’ottica di sviluppo del particolare modo delle persone di reagire alla crisi, ovvero di interpretare la realtà (Venuleo, Gelo, & Salvatore, 2020a).
7. Le trasformazioni sociali. Contesti e relazioni
Le relazioni interpersonali rappresentano il cambiamento principale avvenuto durante il periodo di pandemia. Abbiamo imparato a stare in relazione con gli altri diversamente e a interrogarci sui suoi sviluppi; abbiamo colto la sfida di un dialogo maggiore tra il mondo “reale” e il mondo “virtuale”. Internet, in questo modo, è stato il ponte tra queste due realtà. Il confronto con il mondo digitale e il passaggio a nuove funzionalità, ha spinto le comunità ad essere più “connesse”, più “flessibili”, “veloci”, “a portata di click”. Allo stesso tempo ha sollecitato le attività, i servizi e le istituzioni a reinventarsi rispetto al solito modo di fare, in presenza. Come un effetto domino, ogni settore si è ri-adattato, a partire dall’area sanitaria (Benini, 2021), in particolare per la medicina e la psicologia, che hanno trasformato le consulenze ambulatoriali e/o del privato in attività di tele-consulenza, utili per continuare ad offrire un servizio sanitario di assistenza e supporto al paziente, mediante l’utilizzo delle piattaforme online (Skype, WhatsApp, Zoom, Meet, Cisco, etc..). La pandemia ha inevitabilmente accelerato il passaggio “di fatto” agli strumenti digitali, come la soluzione ideale per fronteggiare una crisi senza precedenti. Ma, se davvero niente è più come prima, in particolare nel modo di utilizzare le tecnologie, ci chiediamo allora: come stanno cambiando le modalità di stare in relazione con gli altri, nei gruppi, nelle comunità, nelle polis. Quali sono le conseguenze a cui stiamo andando incontro?
2.1 Quali dinamiche in quale contesto
Il contesto socio-culturale in cui viviamo, ci racconta la costituzione di una nuova normalità legata alla presenza di Internet e che pensiamo sia utile esplorare come ipotesi per costruire reti, non solo tecnologiche ma soprattutto relazionali – nonostante la mediazione del contesto online – e, identificare, così, nuove forme di convivenza.
Se un anno fa (2020)6, le emozioni dominanti erano orientate da una parte dalla paura del contagio e dall’angoscia di morte, dall’altra dalla speranza legata ad un futuro migliore (Venuleo, Salvatore et. al., 2020), nel momento in cui si scrive (2021), le percezioni sembrano essere cambiate: non si ha più a che fare con un evento nuovo e travolgente, inizia a prendere forma la consapevolezza di una nuova vita che non ci aspettavamo, ma che siamo costretti ad affrontare: il Post-Covid. Sono cambiati i confini tra la vita privata e la vita lavorativa; gli spazi e i tempi di una famiglia tra il dentro e il fuori della propria abitazione; i setting di lavoro e di formazione in generale. È cambiata la didattica, costretta ad una trasformazione che le si richiede da tempo ma che, con lentezza e gran fatica, è stata posticipata fino a questo momento. Sono dovute cambiare le relazioni che, in modo alternato e in funzione dell’innalzamento o dell’abbassamento delle curve di contagio, si basano sempre più su concetti di vicinanza “digitale”, a discapito degli odori dell’altro, dei suoi movimenti e posizionamenti all’interno di uno spazio, cambiando forse anche la topografia della psiche oltre che del corpo.
8. Chi siamo ora “Noi”?
I cambiamenti portati dall’emergenza sanitaria da Covid-19 ci appaiono oggi sostanziali. In più riprese si è discusso di quanto tali cambiamenti riguardino il mondo che abitiamo nella sua globalità. È evidente oramai che non si può più pensare a un ritorno alla normalità e che questa, anzi, richieda di essere ri-pensata alla luce di nuove considerazioni. In diversi articoli (Benini, 2021; Buccolo et al., 2020; Venuleo, 2020) emerge uno sguardo più consapevole che, a partire da quanto accaduto, prova a immaginare lo sviluppo non solo di un miglior modo di reagire alla crisi ma di potenziare i sistemi di convivenza. Potremmo ragionare allora nei termini di una gestione della convivenza che influenza e orienta le pratiche sociali. “La convivenza umana, d’altro canto, non è retta dalla necessità istintuale, quanto dai modelli culturali che fanno, del convivere, un evento mutevole, iscritto nella storia e nella geografia della comunità” (Carli, Paniccia, 2012, pag. 10). Per Carli (2020), la convivenza ha origine a partire da tre elementi fondamentali che la costituiscono ovvero i sistemi di appartenenza, l’estraneo e le regole del gioco, dove l’estraneo rappresenta la possibilità, per i sistemi di convivenza, di confrontarsi con ciò che non appartiene ai modelli culturali condivisi tra gli attori sociali e che, in quanto tali, rappresentano la risorsa per lo sviluppo della relazione e dei sistemi sociali stessi (Carli, Paniccia, 2020). In quest’ottica si possono considerare le trasformazioni sociali affrontate sino a questo momento, a partire dalla diffusione del virus Covid-19, come le rappresentazioni simboliche e affettive dell’alterità, realtà altra da noi e dunque estranea (Il Covid-19, la crisi dei sistemi sociali, la digitalizzazione dei contesti di vita), nella misura in cui sono state rappresentate affettivamente come non appartenenti alle categorie sociali condivise socialmente e per questo non accettabili come regole del gioco. La risorsa risiede in questo: nella promozione di nuove costruzioni di senso, nuove simbolizzazioni affettive tali da agire sulla risoluzione della crisi dei sistemi di convivenza moderni, presenti da prima dell’avvento Covid e semmai esacerbati da esso (Benini, 2021). Una risoluzione che non pretende di risolvere in modo immediato e scontato la crisi ma di interrogarla e renderla pensabile, dunque soggetta ad una sua trasformazione. Una soluzione viene offerta dalla psicologia che permette di vedere delle risorse in una competenza riflessiva. Si pensi ai diversi lavori di Venuleo, Guidi, Mossi, Salvatore (2009, 2010, 2013). Per gli autori, la competenza riflessiva consente di istituire un modello di relazione che “non dia per scontata la realtà psichica dell’altro” (Venuleo, 2013, pag. 2) e che favorisca piuttosto la possibilità di generare nuovo pensiero su quanto si vive e agisce all’interno dei contesti. Dunque, sul proprio modo di interpretare la realtà e costruire insieme all’altro nuovi significati condivisi, nuove regole del gioco. Alla luce di quanto attraversato così sembra evidente come, una possibile via di sviluppo, a livello istituzionale e globale, sia da ricercarsi nella promozione dei modelli culturali che orientano e vincolano le scelte interpretative dei soggetti, la loro capacità di produrre significati utile a fronteggiare la crisi. Compito della psicologia può essere allora di sostenere tale promozione attraverso lo sviluppo dei sistemi di convivenza e delle dinamiche simboliche e affettive sottostanti (Venuleo, 2020).
9. Ipotesi di un lavoro di “rete” in tempi Covid
In linea con la visione che in questo elaborato è stata attraversata, la scuola può essere intesa come l’istituzione che ha, probabilmente più di tutti, rappresentato l’essenza del “contesto in cambiamento”, sia rispetto alla dimensione culturale che dal punto di vista formale, strutturale. Essa ha infatti colto la sfida: ha ridefinito repentinamente la proposta metodologica di insegnamento online (DAD) e, nella didattica in presenza, ha dovuto prevedere forme di distanziamento fisico e di sicurezza, per assicurare a tutti gli alunni, docenti e genitori di sentirsi al sicuro, in un luogo protetto (ristrutturazione degli ambienti e sanificazione). Si ha a che fare, dunque, con un sistema complesso che, per essere compreso, necessità di lenti in grado di tenere insieme le diverse parti dando loro un significato più ampio e meno parcellizzato. Per tale ragione ci siamo interrogati sulle conseguenze di un processo di rinnovamento fortemente orientato alle tecnologie, in un contesto, quale quello scolastico, che consideriamo complesso e pregnante dal punto di vista relazionale, considerando il rapporto tra gli studenti e le studentesse, tra docenti e tra scuola e famiglia. Che tipo di ricadute si possono prevedere nelle relazioni tra soggetti che abitano il mondo scolastico? Si è sempre disposti a “incontrarsi attraverso gli schermi”? Quali sono gli atteggiamenti, comportamenti, pensieri e come viene simbolizzato questo nuovo modo di stare in relazione?
Abbiamo provato a rispondere a questi interrogativi, attraverso un progetto inter-istituzionale di ricerca-azione dal titolo #Maipiùsoli, avviato a Febbraio 2021 e concluso a giugno dello stesso anno. Il progetto, nato in fase post-Covid, è stato orientato a supportare le scuole nella gestione e ridefinizione dei servizi scolastici, così da implementare proposte di intervento più efficaci, in funzione dei nuovi bisogni del mondo scolastico (insegnanti, genitori e alunni) emersi a causa dell’emergenza sociale e sanitaria, in linea con le misure precauzionali e di contenimento adottate nel periodo di pandemia (rif. Linee Guida MIUR, 26/06/2020).
Il progetto #Maipiùsoli, costituito dalla rete di quattro scuole (I.C. Socrate/Mallardo, scuola capofila e promotrice del progetto, I.C. Amanzio Ranucci Alfieri, I.C. San Rocco di Marano e il 1° Circolo Didattico di Qualiano) della Regione Campania, ha visto il coinvolgimento di c.a n. 80 docenti, n. 100 genitori e n. 140 alunni, attraverso l’attivazione di specifici corsi online. Le attività sono state svolte in collaborazione con le Associazioni C.R.eT.A., Farnese, AEPP, il Dipartimento dei Processi di Sviluppo e Socializzazione – Sapienza, Roma (Prof. S. Livi) e la Supervisione scientifica della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia di gruppo ITER, Roma (Prof. G. Montesarchio).
Obiettivo del presente progetto è stato quello di sostenere il mondo scolastico nella gestione della fase post-Covid, attraverso l’ampliamento del tempo scuola ordinario, favorendo in questo modo una maggiore partecipazione alla didattica a distanza (DAD) ed esplorare i nuovi modelli relazionali legati all’uso delle tecnologie digitali, con l’intento di promuovere e attivare, attraverso le piattaforme online, nuovi sistemi di convivenza tra scuola e famiglie, riducendo le distanze conseguenti allo stato di emergenza sanitaria. “Non lasciare soli nessuno” dunque e sostenere il mondo della scuola nella gestione degli effetti della pandemia come l’isolamento, la paura del contagio, i cambiamenti di vita quotidiana e in particolare il rischio che le distanze fisiche si trasformassero in distanze sociali.
L’intervento è stato strutturato in modo da prevedere tre macro-aree, organizzate attorno alle seguenti attività:
FORMAZIONE DOCENTI SULLE METODOLOGIE DELLA DIDATTICA A DISTANZA
PROGETTO “STUDIO ASSISTITO” (moduli da 120 ore)
SUPPORTO ALLA GENITORIALITÀ – Gruppi di genitori per affrontare i nuovi bisogni delle famiglie in fase post-Covid
È stata strutturata, inoltre, una fase di ricerca, sviluppata attorno ai diversi momenti del progetto, in linea con la metodologia della ricerca-intervento.
10. La metodologia
L’intero progetto è stato pensato come occasione di esplorazione del contesto da un lato e di intervento dall’altro. Per tale ragione, ogni attività, ha avuto la duplice funzione di ampliare il tempo scuola ordinario, per rispondere in modo più adeguato alle nuove esigenze che si andavano via via generando e ripensare le modalità didattiche fino a quel momento utilizzate, per renderle maggiormente inclusive e interessanti, così da favorire la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nel mondo della scuola.
Rispetto alle attività proposte per le tre macro-aree di intervento, nel primo modulo “Didattica a distanza” sono state proposte attività di insegnamento/apprendimento in DAD o in modalità “blended” e “flipped” tali da creare nuove possibilità di interazione tra insegnanti e studenti, alternative al metodo frontale della lezione in classe. Lo scenario Covid, infatti, come più volte sostenuto, ha reso necessario un cambiamento che fosse in grado di pensare un’integrazione tra la didattica tradizionale e la didattica digitale, utilizzabile sia in presenza che a distanza. Per questo è stato necessario fornire ai docenti degli strumenti che li aiutassero nella ri-programmazione delle proprie attività insieme ad un buon grado di consapevolezza delle metodologie proposte e delle pratiche ad esse collegate. In quest’ottica, le azioni messe in atto, hanno privilegiato sempre l’integrazione tra approfondimenti teorici e attività pratiche e operative, in modo da creare un ambiente formativo stimolante, dinamico e innovativo. È stata utilizzata ad esempio la metodologia del “learning by doing” utile per sperimentare in prima persona e apprendere dall’esperienza.
Nel modulo “Supporto scolastico”, suddiviso tra il supporto allo studio per alunni con fragilità (disabilità, DSA, BES) della scuola primaria e secondaria di primo grado e il laboratorio di didattica online per i bambini della scuola dell’infanzia, le attività online proposte hanno rappresentato una sperimentazione dello strumento utile, nel caso degli alunni della scuola primaria e secondaria, a rimanere al passo con il programma scolastico e a non esacerbare lacune e/o difficoltà già presenti; nel caso della scuola dell’infanzia, a mantenere un certo livello di socializzazione e il recupero, per quanto possibile, del regolare sviluppo delle loro abilità derivante dall’esperienza di attività al di fuori del contesto familiare e limitato in seguito alle restrizioni per la gestione della pandemia. Anche in questo caso è stata utilizzata la metodologia del “cooperative learning” utile per facilitare il supporto e la partecipazione tra pari.
Infine, nel modulo “Sostegno alle famiglie”, sono stati attivati percorsi di sostegno alla genitorialità centrati sul dialogo e la riflessione attorno agli effetti psicologici del lockdown e del distanziamento sociale per l’intero sistema familiare. In particolare, con un duplice focus: da un lato, sull’impatto che gli effetti psicologici della pandemia hanno avuto sui processi di crescita dei bambini e degli adolescenti e dall’altro, sulle capacità dei genitori di gestire le reazioni emotive dei propri figli. I percorsi sono stati strutturati attraverso l’organizzazione di incontri di prevenzione e supporto alle competenze genitoriali e analisi delle dinamiche relazionali del gruppo familiare, in modo da fornire loro strumenti pratici utili a fronteggiare gli effetti della pandemia, analizzare e valorizzare i bisogni emergenti dei propri figli, come l’utilizzo del digitale, e ri-pensare alle nuove modalità di convivenza familiare, rese difficili dal passaggio forzato allo smart-working, assenza di lavoro e nuovi equilibri del contesto abitativo.
Anche per tale modulo, così come per i precedenti, la metodologia utilizzata ha previsto l’integrazione tra un momento di approfondimento teorico ed uno esperienziale, di messa alla prova delle proprie competenze in modo da apprendere attraverso l’esperienza. Insieme a tali momenti più operativi, è stata prevista inoltre una fase di ricerca a inizio progetto mediante un questionario in entrata rivolto agli insegnanti e alle famiglie; un questionario in itinere rivolto ai tutor e agli esperti esterni; un report finale rivolto a esperti e tutor con l’obiettivo di poter raccogliere un’analisi complessiva sulla qualità del processo formativo.
11. I risultati della ricerca
Il progetto #Maipiùsoli appare qui interessante non soltanto per la portata dell’intervento clinico, a livello locale e inter-istituzionale, che ha avuto sugli istituti scolastici coinvolti ma anche per i dati di ricerca, utili per ancorare le riflessioni del presente elaborato e che raccontano di un contesto scolastico, fortemente in crisi a causa della pandemia da Covid-19, evento che ribadiamo è stato nuovo e travolgente, pauroso, impetuoso, in grado di sconvolgere un mondo intero.
La ricerca è stata strutturata attraverso la somministrazione di un questionario in entrata, a risposta multipla, rivolto a insegnanti e famiglie, con l’obiettivo di esplorare i vissuti e le rappresentazioni legati al periodo di distanziamento forzato (lockdown 2020/21) e all’esperienza della DAD; un questionario in itinere, a risposte multiple e aperte, rivolto ai tutor e agli esperti esterni, per indagare da un lato i livelli di coinvolgimento dei partecipanti al progetto in termini di partecipazione, attenzione, motivazione e interesse e, dall’altro la qualità del processo formativo e della relazione tra scuola e famiglia; un report finale rivolto a esperti e tutor con l’obiettivo di poter raccogliere un’analisi complessiva sulla qualità del processo formativo.
12. Il Questionario in entrata
Il questionario in entrata, costituito da tre parti, è rivolto sia agli insegnanti che alle famiglie.
La prima parte è stata centrata sulla raccolta di informazioni generali: per quanto riguarda i docenti, la scuola in cui insegnano, gli anni di attività, la materia e se e con quale percentuale hanno svolto didattica/attività formativa online, per quanto riguarda le famiglie invece il numero dei figli in DAD e la loro capacità di seguirli; la seconda parte del questionario è stata centrata sull’ esplorazione del modo in cui gli insegnanti e le famiglie hanno vissuto la didattica durante il periodo di pandemia. Quali i problemi che hanno dovuto affrontare, come hanno reagito all’”avvento della Didattica a Distanza”, su quali dimensioni si sono sentiti efficaci; la terza parte infine è stata centrata sull’esplorazione della relazione tra scuola e famiglia, sia dal punto di vista degli insegnanti che dal punto di vista delle famiglie.
Le risposte al questionario hanno mostrato il coinvolgimento di 76 docenti della Scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di Primo Grado dei quattro istituti coinvolti nel progetto #Maipiùsoli “I.C. Socrate/Mallardo”, “I.C. Amanzio Ranucci Alfieri”, “I.C. San Rocco di Marano”, “1° Circolo Didattico di Qualiano” e 50 genitori di alunni afferenti ai suddetti istituti.
Rispetto alla seconda parte del questionario, volta a esplorare il modo in cui i partecipanti al questionario hanno vissuto la didattica online durante il periodo di pandemia, dai dati è emerso quanto gli insegnanti abbiano mostrato alcune difficoltà iniziali legate alla DAD: questioni tecniche (connessione internet e utilizzo dei devices digitali) e difficoltà legate al coinvolgimento del gruppo classe.
Tuttavia, hanno mostrato anche un buon senso di autoefficacia che ha permesso lo sviluppo di capacità adattive ulteriori; allo stesso modo le famiglie, nonostante alcune difficoltà, hanno mostrato comunque una buona capacità di adattamento, riuscendo in qualche modo a seguire i propri figli nella DAD e a gestire la vita domestica, dove qualche difficoltà è rimasta legata alla gestione di questa con il lavoro, altri impegni, problemi tecnici legati alla linea e alla presenza di altri figli, spesso più piccoli. La DAD, dunque, ha rappresentato sicuramente una grande scommessa rispetto alla capacità di adattamento. È stato possibile osservare infatti che, in media, i partecipanti al questionario, hanno espresso un atteggiamento piuttosto favorevole rispetto alla DAD, nonostante circa il 20% abbia mostrato un atteggiamento poco favorevole. Un dato piuttosto rilevante, legato ad un item del questionario “La DAD si intromette nella vita familiare”, sembra dare conto di un buon livello di alleanza scuola-famiglia. Al di là di quanto si potesse immaginare, infatti, questo dato sembra spiegare quanto la percezione della DAD e quindi della scuola, non sia stata vissuta dalle famiglie come una forma di intromissione, piuttosto di valido aiuto, utile a reggere e sostenere un periodo così difficile come quello della pandemia e dell’isolamento forzato, che ha visto le famiglie ognuna nelle proprie case. In media, dunque, le famiglie e la scuola sono stati in grado di costruire un’alleanza scuola-famiglia molto buona e funzionale al superamento del momento di crisi affrontato.
13. Il Monitoraggio in itinere
Il monitoraggio in itinere è stato possibile grazie alla somministrazione di un questionario, a risposte multiple e aperte, rivolto ai tutor e agli esperti esterni coinvolti nelle attività del progetto, per indagare da un lato i livelli di coinvolgimento dei partecipanti al progetto in termini di partecipazione, attenzione, motivazione e interesse e, dall’altro la qualità del processo formativo e della relazione tra scuola e famiglia.
Al questionario sono state raccolte 26 risposte che hanno confermato l’atteggiamento propositivo e favorevole, registrato nei questionari in entrata, verso le attività svolte online, all’interno del progetto #Maipiùsoli, seppur rilevando una percentuale inferiore di scarsa partecipazione e adesione alle attività.
Anche rispetto alla motivazione e all’interesse sono stati registrati alti livelli di coinvolgimento nelle attività proposte, confermando un dato emerso, in modo trasversale, nelle fasi di analisi: laddove l’attività in DAD si è proposta l’obiettivo di coinvolgere attivamente i partecipanti, è stato possibile costruire uno spazio di interesse, partecipazione e relazione. La Didattica a Distanza, in questo senso, ha rappresentato una risorsa utile a colmare quel gap che tanto ha spaventato il sistema scolastico durante la pandemia: non solo in termini di continuità delle attività scolastiche ma anche e soprattutto rispetto alla possibilità di instaurare e sostenere la relazione tra gli attori coinvolti nel processo di apprendimento-insegnamento.
14. Il Report finale
La fase finale del processo di ricerca ha previsto un report finale rivolto sempre agli esperti e tutor coinvolti nel progetto, con l’obiettivo di poter raccogliere un’analisi complessiva sulla qualità del processo formativo. È stato possibile riscontrare, intanto, una buona frequenza dei partecipanti alle attività, ovvero 36 partecipanti per il modulo sulla formazione dei docenti della scuola dell’infanzia e primaria, 99 partecipanti per il modulo dello studio assistito, 31 partecipanti per il modulo della DAD in gioco e 60 partecipanti per il modulo del sostegno alla genitorialità per l’infanzia e l’adolescenza.
Rispetto al modulo sulla formazione dei docenti, è stato possibile riscontrare una buona adesione al progetto, insieme alla partecipazione e alla motivazione dei partecipanti. I docenti, infatti, si sono dimostrati molto attivi e pronti a mettersi in gioco, sperimentandosi in nuove competenze, sollecitate dalla didattica a distanza, per rendere maggiormente efficace il processo di insegnamento/apprendimento.
Rispetto al modulo dello studio assistito, anche qui è stato possibile riscontrare una buona adesione alle attività, nonostante la frequenza non sia stata sempre costante e abbia risentito di un calo nel mese di maggio, dovuto principalmente alle riaperture e alle norme Covid meno restrittive. Per alcuni alunni si è registrata una scarsa motivazione e interazione, mentre altri si sono impegnati molto e hanno colto l’occasione di recuperare le lacune possedute. In conclusione, si può affermare che, nonostante la distanza, si è potuto creare un clima di fiducia, in grado di sollecitare, in alcuni alunni, il desiderio di approfondire alcuni degli argomenti trattati, mostrando così un atteggiamento autonomo e proattivo.
Rispetto al laboratorio della DAD in gioco, sebbene sia stata rivolta a bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni e sia stata registrata una scarsa frequenza, in alcune situazioni, dovuta alla stanchezza o a impegni lavorativi dei genitori, i livelli di partecipazione e motivazione alle attività proposte sono stati molto alti. I bambini hanno avuto modo di continuare a interagire tra loro e di sperimentare nuove modalità comunicative. Allo stesso modo, il laboratorio è stata un’occasione per i formatori, i quali hanno avuto la possibilità di esplorare nuove modalità di insegnamento/apprendimento per questa fascia d’età che sembrava dover scontare, più di tutti, il prezzo di una nuova realtà centrata sulle metodologie digitali.
Il modulo del supporto alla genitorialità è stato caratterizzato inizialmente da molte difficoltà organizzative. Si sono inizialmente registrate poche adesioni dei genitori, poco disponibili per motivi di lavoro o per altri impegni familiari, ma grazie alle sollecitazioni dei referenti scolastici e dei tutor di progetto si è riusciti comunque a costituire dei piccoli gruppi in cui è stato possibile creare spazi di condivisione e confronto generativi e significativi.
In alcuni gruppi, si è generata la domanda di proseguire e/o ripetere l’esperienza di supporto alla genitorialità. Il clima di confronto e fiducia che si è generato tra i partecipanti ha permesso la condivisione di esperienze quotidiane, in cui ciascuno ha sperimentato risonanze con le proprie storie. La condivisione in gruppo ha favorito, dunque, l’avvicinamento tra le famiglie e il superamento del senso di solitudine e isolamento vissuto nei mesi precedenti.
In linea generale e osservando i dati d’insieme, è stato possibile comprendere quanto la capacità di adattamento degli attori coinvolti nel contesto scolastico (insegnanti, famiglie, alunni) sia stata possibile grazie alla relazione tra gli stessi. Se da un lato è stata rilevata una certa stanchezza rispetto alle attività online, dovuta in qualche modo anche al periodo attraversato, dall’altro è stato possibile riconoscere il ruolo della relazione nei processi di insegnamento/apprendimento, anche a distanza. Nei contesti scolastici coinvolti, infatti, la DAD ha rappresentato un fattore di maggiore vicinanza. È stato molto utile, inoltre, il ruolo dei tutor a supporto dei formatori, che hanno facilitato la creazione di un clima di collaborazione e fiducia.
15. Conclusioni
Nel presente lavoro si è discusso molto dell’impatto psicologico della pandemia da Covid-19: la paura del contagio, di non potersi “toccare”, la presenza delle distanze fisiche e le diverse chiusure. La paura, in particolare, che le distanze fisiche costringessero per sempre ad una distanza sociale. Siamo stati molto soli e abbiamo provato, in ogni modo per noi pensabile, a trovare soluzioni “altre”, ugualmente valide. Tutto questo ci ha segnato profondamente, costringendoci a dover fare i conti con una nuova realtà. Oggi, tanto per fare un esempio, l’utilizzo della mascherina appare scontato, strumento necessario per limitare una eventuale trasmissione del virus. Allo stesso modo, l’utilizzo del digitale, che sia per pagare in contanti la spesa, lavorare in smart working, seguire un corso in FAD oppure gestire i compiti scolastici dei propri figli (per praticità, vengono qui elencati solo pochi esempi, ma la lista potrebbe essere più lunga), è diventata una parte imprescindibile del nostro vivere quotidiano. Ma cosa ha rappresentato tutto questo? Da un lato, sicuramente una forte angoscia e trauma sociale. Basti pensare a tutti gli eventi iniziali della pandemia (marzo 2020) che hanno spinto le persone ad agire confusivamente e bruscamente, alla ricerca di una qualche soluzione – vengono alla mente la corsa alle mascherine, gli assalti ai supermercati, le fughe dal Nord al Sud – che potesse dare anche solo l’illusione di sentirsi protetti da una minaccia sconosciuta e terrificante. Dall’altro lato, è stato possibile intravedere, in questo scenario, delle risorse che qui vengono raccontate attraverso la relazione. Nel progetto di ricerca #Maipiùsoli, proposto come stimolo per riflettere sul contesto e il periodo che stavamo vivendo e per provare a pensare possibili soluzioni di intervento, ciò che è emerso ha proprio a che fare con aspetti relazionali, ovvero con la capacità degli attori coinvolti, di creare legami, reti, luoghi fisici o, in questo caso, virtuali e mentali, validi al punto da costituirsi come riferimento per il sistema scolastico intero. Nel progetto citato, la DAD si è rilevata uno strumento utile, nella misura in cui è stata trattata come pretesto per la relazione. Come un modo per sentirsi più vicini e non trasferire soltanto conoscenze piuttosto alimentare una interazione, il coinvolgimento attivo dei partecipanti, per dare voce ad una didattica non già o soltanto definita a priori ma co-costruita da tutti gli attori coinvolti. L’importante lavoro svolto da tutti gli esperti, i tutor, i docenti, così come la generosa disponibilità dei dirigenti scolastici nell’aderire al progetto, è stato prezioso in quanto si è reso portavoce di un processo relazionale, prima ancora che di insegnamento-apprendimento, e forse in questo senso ha assunto ancora più valore.
Il contesto formativo, infatti, così come ogni altro contesto in cui si articolano scambi sociali, viene investito inconsciamente ed automaticamente di immagini fantasmatiche, desideri, aspettative. Ed è in questo senso che il processo formativo viene ad essere influenzato dalla reciproca attribuzione di senso agita dai partecipanti al contesto, tale da considerare in questo la fondazione relazionale e culturale del processo di insegnamento-apprendimento (Venuleo, 2013). La relazione necessita di reciprocità ed in tale reciprocità si è potuta esprimere la potenzialità dello strumento della DAD, riuscendo a colmare in qualche modo le distanze fisiche e a permettere ai partecipanti di alimentare e, in alcuni casi, incrementare gli scambi dialogici e di confronto.
Si può così comprendere anche l’importanza di una concezione gruppoanalitica intesa come quel modo di “essere al mondo condividendolo corresponsabilmente”8 in linea con il pensiero di Di Maria che vede nella cultura della polis la possibilità, per le comunità, di alimentare quello “spazio mentale in cui far interagire relazioni e gruppi”9. L’autore, il quale ha affrontato in modo approfondito il concetto di polis e la sua utilità per lo sviluppo dei sistemi sociali, insiste molto su concetti come creatività, immaginazione, possibilità di giocare con il “non ancora”, in quanto modalità di far fronte alle catastrofi di senso delle comunità in cui viviamo. Ebbene, il Covid ne rappresenta l’ennesima prova, rappresenta proprio quella crisi di senso che ha richiesto una quota importante di creatività per essere affrontata e gestita. Per Di Maria, dunque, in questo senso, la polis può essere intesa come il luogo della convivenza competente e responsabile in grado di portare i gruppi e le comunità verso un noi, un pensiero di gruppo, ovvero verso la possibilità di riconoscersi in un prodotto – il pensiero – frutto di una co-costruzione e condivisione di pensieri individuali.
In questa visione e per concludere, si può affermare che il senso di quanto vissuto e attraversato si può riconoscere nella capacità degli uomini di mantenersi tali: sociali, in grado cioè di vivere insieme e relazionali, in quanto tesi sempre ad una qualche forma di comunicazione con l’altro e, per questo, funzione e ragione degli scambi sociali.
L’evento della pandemia da Covid-19 non sarebbe stato tanto impetuoso se non avesse messo in crisi l’essenza degli esseri umani ma emerge anche che, proprio in ragione di tale essenza, può essere riconosciuta nel suo valore di risorsa e alimentare una cultura della convivenza. Significa, utilizzando le stesse parole di Di Maria “prendere atto che la psicologia può acquisire strumenti e concetti capaci di contribuire ai cambiamenti politici di una comunità e non solo utili ad interpretarla” (ibidem).
NOTE
1 Convegno ITER, 13/12/2018, F. Di Maria
2 Webinar “Ritorno del Capro Espiatorio”, E. Hopper, 06/03/2021
3 Dal sito dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Brescia:
4 Rivista “La professione psicologica” – Psicologia per l’emergenza e la ripartenza. N. 1 – gennaio 2021:
5 Digital 2020 – I dati di aprile: 4,57 miliardi le persone connesse a Internet e 3,81 quelle attive sui social: si tratta di un incremento del 7,1% e 8,7% rispetto a 12 mesi fa […] 3 utenti su 4 dichiarano di utilizzare i propri device di più rispetto al periodo immediatamente precedente la pandemia.
6 (Rif. DPCM 8 marzo 2020, 1 aprile 2020, 11 giugno 2020, 24 ottobre 2020, 3 novembre 2020, recanti misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19)
7 Rivista “Scienza in rete” – Riscaldamento globale: sintesi della prima parte del sesto rapporto IPCC
8 Webinar “Ritorno del Capro Espiatorio”, E. Hopper, 06/03/2021
9 Convegno ITER “Dalla Polis al Gruppo e ritorno”, F. Di Maria, 13/12/2018
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Le autrici
Azzurra Giaimis: Psicologa e psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia di Gruppo ITER
Ottavia Galiero: Psicologa e Psicoterapeuta di Gruppo. Docente Formatore per docenti – psicologi (corsi post- universitari) – operatori sociali. Orientatrice – percorsi individuali e di gruppo, bilancio di competenze, accompagnamento al lavoro e ricerca attiva. Esperta di gruppi in ambito scolastico. Vice- Presidente C.R.eT.A.