LA FORMAZIONE GENERATIVA: QUALE SPAZIO PER LA GRUPPOANALISI ALL’INTERNO DEI CONTESTI ORGANIZZATIVI?
A cura di Gaia Di Castro
Abstract
Questo articolo considera il tema della formazione nelle organizzazioni da un vertice gruppoanlitico che consente di proporre riflessioni sul costrutto stesso e sulla funzione psicologica in questo ambito, in modo da poter aprire un dibattito all’interno della comunità professionale.
Ogni momento storico è caratterizzato da profondi mutamenti socioculturali che inevitabilmente investono e trasformano le organizzazioni, e nella pratica clinica non si era mai più di tanto pensato al valore del gruppo nel proporre interventi di formazione per far fronte ai cambiamenti che attraversano la nostra società. È, invece, interesse di questo lavoro attribuire al gruppo il suo ruolo fondamentale all’interno dei percorsi formativi, mettendone in luce risorse e potenzialità.
L’obiettivo di questo articolo, infatti, è sostenere che la formazione va intesa come formazione psicosociale in cui non vi è nessuna ricetta pronta, nessun antidoto preconfezionato; piuttosto nella prassi clinica si preferisce porre di attenzione al contesto, alla relazione, allo sviluppo di possibili nuovi scenari. In questo senso la formazione generativa si propone come “processo per la costruzione di senso”. Il gruppo rappresenta in questo senso il luogo, lo strumento, il soggetto privilegiato dell’intervento formativo. La formazione che lavora “su” e “attraverso” i processi di gruppo infatti mira allo sviluppo dei partecipanti inteso come capacità relazionali ed emotive a stare nei contesti di appartenenza generando competenza, spendibile all’interno quanto all’esterno dell’organizzazione in cui prende forma.
Parole chiave: formazione, generativa, gruppo, “saper essere”, gruppoanalisi, organizzazioni
Questo articolo considera il tema della formazione nelle organizzazioni da un vertice gruppoanlitico che consente di proporre riflessioni sul costrutto stesso e sulla funzione psicologica in questo ambito, in modo da poter aprire un dibattito all’interno della comunità professionale.
Attraverso un processo circolare, il lavoro è stato impostato fornendo in primis le coordinate per collocare le organizzazioni all’interno di un modello teorico di riferimento per poi esporre la tesi della formazione generativa. Conseguentemente, la scelta è stata quella di analizzare quei costrutti che supportano l’argomentazione esposta e ne incarnano gli elementi costitutivi fondamentali.
Ogni momento storico è caratterizzato da profondi mutamenti socioculturali che inevitabilmente investono e trasformano le organizzazioni, e nella pratica clinica non si era mai più di tanto pensato al valore del gruppo nel proporre interventi di formazione per far fronte ai cambiamenti che attraversano la nostra società. È, invece, interesse di questo lavoro attribuire al gruppo il suo ruolo fondamentale all’interno dei percorsi formativi, mettendone in luce risorse e potenzialità.
Infatti, prendendo in prestito le parole di Levy (Marzella, 2004) “la maggior parte delle competenze acquisite da una persona all’inizio del suo iter professionale saranno obsolete alla fine della sua carriera. Lavorare equivale sempre di più ad apprendere, trasmettere sapere e produrre conoscenze. Il sapere-flusso, il lavoro-transazione di conoscenza contribuiscono a modificare profondamente i dati del problema dell’educazione e della formazione”.
Le organizzazioni vengono considerate, in un’ottica psicologico clinica, nella loro bidimensionalità: quella organizzativa, rappresentata dalla parte visibile, connessa alla progettualità, alla divisione dei compiti, al mondo della razionalità, ecc.. che si fonda sul consenso; e quella istituzionale che rappresenta le finalità, la parte invisibile, connessa ai desideri, agli affetti, all’identità, al riconoscimento e all’irrazionalità (Montesarchio e Venuleo, 2002). Detto ciò è imprescindibile considerare da un punto di vista gruppoanalitico ogni struttura all’interno del contesto nel quale è inserita, analizzando “quel complesso di circostanze o fatti che costituiscono e caratterizzano una determinata situazione, nella quale un singolo avvenimento si colloca o deve essere ricondotto per poterlo intendere, valutare o giustificare”. In altre parole il focus è orientato all’insieme delle relazioni e della loro struttura organizzata, entro cui ciascun individuo vive la propria esperienza” (Carli, 1993).
In questo scenario i processi di orientamento e formazione assumono una funzione sempre più importante e portano gli psicologi a confrontarsi con nuove necessità e con diverse domande professionali.
All’interno di contesti organizzativi così concepiti, quale formazione è pensabile in termini gruppoanalitici? L’obiettivo di questo articolo è rispondere a questa domanda e sostenere che la formazione va intesa come formazione psicosociale, in cui non vi è nessuna ricetta pronta, nessun antidoto preconfezionato; piuttosto nella prassi clinica si preferisce porre attenzione al contesto, alla relazione, allo sviluppo di possibili nuovi scenari. Con questo si intende che il prodotto della formazione non è solo il cambiamento e la promozione di sviluppo, ma anche il riattraversamento, l’accettazione, la riflessione sulle problematiche presentate. In altre parole, non si ha un format progettato a priori che poi viene attuato per tutti gli interventi, piuttosto competenza dello psicologo è costruire una specifica formazione per unno specifico contesto in uno specifico momento con specifici clienti.
In questo senso la formazione psicosociale si propone come “processo per la costruzione di senso”, che chiede di essere messo in parola per poter a sua volta essere riconosciuto e narrato. Adottando quindi un’ottica gruppoanalitica l’obiettivo è, allora, far nascere parole dagli eventi, liberare narrazioni per consentire alla “razionalità congetturale” di dispiegarsi, restituendo dicibilità e senso a ciò che le persone fanno, “mettono in atto”, agiscono quotidianamente ed ininterrottamente senza permettersi lo spazio per un pensiero “su”. Lo spazio della formazione diventa il luogo in cui si fa il testo attraverso le relazioni dei soggetti in esso coinvolti, contesto che fornisce pre-testi per la nascita di eventi, di racconti, di nuove storie. La formazione si identifica così nel luogo di una possibile, non scontata né automatica, costruzione di significati, attraverso il riconoscimento e il trattamento della molteplicità dei linguaggi, degli stili, dei registri comunicativi in gioco (Montesarchio e Venuleo, 2002). Nella formazione si vanno definendo, alla luce di quanto detto, due registri narrativi differenti ma allo stesso tempo in stretta relazione: il primo relativo agli eventi raccontati, alle storie utilizzate come fonti per generare esplicitazioni ed approfondimenti di senso per le persone; il secondo livello è quello che si va creando nella stessa relazione nel “qui ed ora” tra partecipanti alla formazione, una narrazione che si compie, attraverso il concreto gioco di costruzioni congiunte e la negoziazione di significati da parte degli stessi soggetti implicati nel processo. Il gruppo di formazione in quest’ottica diventa lo spazio in cui sviluppare testi e pretesti di racconto relativi all’organizzazione stessa stimolando a sua volta la discussione fra i membri partecipanti e non, dell’azione, discussione come resoconto verbalizzato delle emozioni e degli eventi emersi. “Una lettura che si muove adagio, capace di sviluppare approcci indiziari e cooperazioni interpretative attraverso cui i diversi lettori interroghino e comprendano significati presenti nelle loro situazioni, riorientandoli e costruendone altri” (Marzella, 2004). Lo spazio della form-azione diventa il posto privilegiato in cui si dà l’avvio ad uno scambio di esperienze. Da strumento tecnico da utilizzare, diventa modalità di comunicazione da sperimentare e alimentare costantemente.
Da parte del formatore la concreta gestione e conduzione di set formativi risulta associata ad un costante lavoro di ascolto, interpretazione e costruzione congiunta di significati.
La storia formativa trova il proprio testo e si rinnova ogni volta negli abituali luoghi della formazione evolvendo verso esiti di emancipazione personale, gruppale, organizzativa, incerti e mai automaticamente acquisibili. La capacità di appropriarsi di una nuova narrazione può essere vista come una funzione da promuovere: meta narrare diventa quindi la possibilità di organizzare la struttura stessa delle esperienze, delle trame relazionali, dei testi che si sviluppano in particolari contesti, in modo nuovo e in modo tale che le storie (tanto del singolo, quanto dell’organizzazione di appartenenza), si compongano di scelte più consapevoli e forse più libere (cambiamento).
Viene quindi chiamata “formazione generativa” quell’intervento psicologico clinico formativo centrato sulla messa in discussione totale del soggetto coinvolto, che mette in campo non solo il suo sapere ma anche i suoi atteggiamenti, le sue emozioni, le relazioni in cui è inserito, definito appunto “saper essere” (Montesarchio e Venuleo, 2002).
La formazione generativa come analizzata precedentemente, non può che porre, in un’ottica gruppoanalitica, il gruppo al centro del proprio intervento. Infatti il gruppo rappresenta in questo senso il luogo, lo strumento, il soggetto privilegiato dell’intervento formativo. È questa la novità della gruppoanalisi: riconferire valore al gruppo, sfruttarne le possibilità ed implementarne le potenzialità. Questa scelta teorica e metodologica è giustificata dal fatto che da un punto di vista psicodinamico, i processi attraverso i quali la persona attribuisce significato e senso al mondo, si costruiscono su una matrice relazionale inconscia, facendo riferimento a quel sistema di relazioni interno ed esterno, che pone l’attenzione non solo alle relazioni reali e visibili, ma anche ai cosiddetti modelli relazionali interiorizzati (Napolitani, 1987). Secondo questa visione, quindi, i soggetti, sulla base dei modelli relazionali appresi nei rapporti significativi di appartenenza, tendono a simbolizzare affettivamente la realtà (Mancini, 2016).
In questo scenario quindi soggetto ed oggetto privilegiato dell’intervento diventa il gruppo, con cui gli psicologi si relazionano ed attivano un processo di cambiamento.
Il gruppo può essere definito come “un’organizzazione mentale, un operatore psichico, un sentimento di appartenenza, un vissuto e insieme e contemporaneamente a tutto ciò anche un complesso reticolo di interrelazioni psichiche fra persone” (Di Maria, Lo Verso, 1995). Gruppo di formazione quindi inteso come “segno aperto, polisemico, da significare, da contestualizzare” (Montesarchio, Venuleo, 2003). Elevare il gruppo come protagonista della scena formativa significa operare una scelta rispetto al modello di riferimento e alla metodologia che ne deriva. Nell’ambito della formazione questa scelta risiede nel colloquio di gruppo, che attiva la circolazione di un pensiero gruppale e ad una modalità comunicativa generativa tra i soggetti. Per ottenere questo superamento dell’idiosincrasia del singolo e raggiungere la molteplicità gruppale si deve realizzare il passaggio dalla cultura di coppia a quella di gruppo che si fonda sulla circolazione dei ruoli e sulla generazione di processi comunicativi e di pensiero. In altre parole nel colloquio di gruppo c’è un gruppo parlante ed uno ascoltante con ruoli fluidi ed intercambiabili, in questo caso è necessario l’abbandono delle quote di potere a favore della nascita di un pensiero di gruppo.
Il pensiero di gruppo permette di valorizzare la dimensione soggettiva abbandonando i confini rigidi. Il pensare diviene funzione del gruppo stesso e della rete di rispecchiamenti e risonanze che ne deriva.
Pensare in modo gruppale inteso come interpretazione, azione, trasformazione dei processi comunicativi che consentono e determinano il legame e la convivenza.
Avendo discusso circa lo scenario teorico e metodologico della formazione generativa all’interno delle organizzazioni ed essendoci soffermati sui costrutti principali dell’intervento formativo, sembra utile chiudere la trattazione, con uno degli altri elementi fondamentali: la funzione psicologica. Quale spazio e ruolo per un gruppoanalista all’interno delle organizzazioni? Come pensare la funzione psicologica all’interno dei contesti organizzativi? Chiudere per, in un certo senso, aprire, riapre e riprendere da dove siamo partiti, per pensare nuove possibilità, sviluppi.
In questo senso la prassi clinica come funzione per pensare, progettare e mettere in azione l’intervento. Intervento che parte da una domanda (Carli, 1987; Carli, Paniccia, 1999), intesa come “un modello simbolico di rappresentazione emozionale della relazione con lo psicologo, che viene compresa nella formazione generativa nel suo valore di significante della simbolizzazione affettiva. Simbolizzazione che porta con sé una costruzione emozionata del problema (il caso) che motiva la richiesta, una sua interpretazione, un’ipotesi sul modo di affrontarlo e sulla funzione che rispetto a essa la consulenza potrà rivestire” (Salvatore, Scotto di Carlo, 2005).
Così concettualizzata, la domanda è definita, oltre che “… dal che cosa, anche costruita dal contesto di altre rappresentazioni relative al chi, al come, al quando e al perché della consultazione” (Montesarchio, Venuleo, 2006) ed è competenza dello psicologo analizzare questi elemnti, mettere insieme gli indizi per dargli senso. “In questo senso la domanda è anche la proposta di un ambito di significazione entro il quale lo psicologo è chiamato a muoversi” (Montesarchio, Venuleo, 2006). Le modalità idiosincratiche che il richiedente utilizza nell’interpretare e significare la relazione clinica è collegabile al “…modello culturale che guida il suo modo di stare al mondo” (Montesarchio, Venuleo, 2006) e, quindi, subiscono il deficit di competenza che ha anche motivato la richiesta di consulenza (Salvatore, Scotto di Carlo, 2005).
Competenza dello psicologo è trattare i modelli interpretativi che il cliente utilizza per significare la relazione nel qui ed ora del setting clinico e nel là e allora dei suoi contesti di appartenenza come oggetto, in quanto le sue premesse di relazione sono il problema su cui lavorare, e come scopo, per permettere la generazione di nuovo senso (Venuleo, 2008). In questo senso parliamo di formazione generativa che proporne al gruppo di lavoro un “pensiero su” piuttosto che un ventaglio di servizi pre-stabiliti e collusivi con la domanda del cliente.
Questo significa per il gruppoanalista costruire il setting ed è solo a partire dalla costruzione dello stesso che l’intervento formativo ha un inizio “pratico”, costituendo il setting il punto di riferimento, i criteri e le regole “costanti” da cui osservare quanto accade nell’incontro tra committenza, formatore e formandi; in questo senso il setting è l’elemento che collega l’universo teorico di appartenenza dello psicologo e le tecniche che coerentemente vengono utilizzate per raggiungere gli obiettivi formativi.
La formazione incarna un metodo che lavora “su” e “attraverso” i processi di scambio di significati che fondano il gruppo in formazione (Montesarchio, Marzella, 2002; Montesarchio, Ponzio, 1998; Marzella, 2004): un processo di scambio che non tende all’accrescimento di competenze ma allo sviluppo dei partecipanti, non mira ad una forma definitiva e statica, ma a generare la capacità a stare in forme provvisorie, per imparare a trasformare e ad essere continuamente trasformati dal contesto di appartenenza” (Di Maria, Venza, 2002). In questo senso il colloquio di formazione “generativo” identifica il suo prodotto nella “trasformazione” e non prescinde dalla “fruizione che di tale prodotto farà il cliente (Paniccia, Salvatore, 1998).
In questo senso come sottolineano Margherita e Tambone (2001) “il gruppo può allora essere considerato quale area di transizione (…) in quanto preclude al cambiamento, sempre provvisorio e reversibile, la cui funzione è quella di ampliare, scomporre e ricomporre le categorizzazioni con cui si configurano gli stimoli ad eventi e le risposte ad azioni”. Prodotto dell’intervento formativo quindi come occasione di “pensiero su” e come percorso di senso possibile, oltre che di recupero di senso (Scaratti, 1998). Prodotti come momento di narrazione, spazio-tempo privilegiati in cui si strutturano e si modificano racconti, in cui si rendono possibili nuove narrazioni di sé, dell’altro e del mondo.
Infine, formazione come strumento di erogazione di competenze: competenza a convivere con i ruoli sociali e professionali, competenza all’analisi delle dinamiche e dei fenomeni, competenza alla creazione di uno spazio che sia di riflessione e di pensiero.
In quest’ottica il cliente ha un ruolo fortemente attivo e diventa parte centrale dell’intervento capace di capirlo e di farsene carico per poi usufruire di tale competenza nei propri contesti di vita.
5. Conclusioni
Per concludere, questo articolo ha proposto la tesi secondo la quale, da un’ottica gruppoanalitica, la formazione viene concepita come generativa, intendendo con questo termine il processo attraverso il quale la relazione tra psicologo formatore e partecipanti e ciò che avviene all’interno di essa, contribuisce all’attribuzione di senso che i soggetti conferiscono all’esperienza che stanno vivendo.
Chiarito il vertice di osservazione, la formazione viene considerata, progettata e realizzata, facendo riferimento alle dimensioni socioaffettive del lavoro, dei processi gruppali, dei rapporti tra formazione e organizzazione (Di Maria, Venza, 2002). In quest’ottica, attraverso il gruppo, i processi di apprendimento non si limitano all’hic et nunc della formazione in aula, né tantomeno alla mente individuale dei singoli partecipanti alle attività, bensì il processo formativo diventa parte integrate della persona, oltrepassa lo spazio del setting formativo e raggiunge le relazioni esterne, arrivando negli scenari collettivi e sociocomunitari in cui il formando è inserito e di cui, soprattutto, è parte attiva.
La formazione che lavora “su” e “attraverso” i processi di gruppo infatti mira allo sviluppo dei partecipanti inteso come capacità relazionali ed emotive a stare nei contesti di appartenenza in modo dinamico, imparando a trasformare ed ad essere continuamente soggetti di cambiamenti (Montesarchio, Marzella, 2002).
In altre parole, la formazione gruppoanaliticamente orientata genera competenza, spendibile all’interno quanto all’esterno dell’organizzazione in cui prende forma, in quanto significa dare alle persone l’opportunità e gli strumenti per “saper essere”, nei contesi plurimi della propria vita.
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L’autrice
Gaia Di Castro: Psicologa clinica ed interculturale, Specializzanda in psicoterapia gruppoanalitica, Formatrice. Si occupa di interventi clinici rivolti alla persona, alle coppie ed ai gruppi.