A cura di Giorgia De Fabritiis, Katia Ruggeri, Giulia Venanzangeli, Maria Rita Infurna
Nota: Le dott.sse De Fabritiis, Ruggeri e Venanzangeli sono responsabili dell’ideazione e stesura del presente lavoro, che rappresenta un estratto delle Tesi di Specializzazione presso la Scuola Quadriennale in Psicoterapia di Gruppo ITER s.r.l., A.A. 2019/20.
La prof.ssa Infurna ha effettuato la supervisione scientifica del presente lavoro, anche in qualità di relatore delle Tesi di Specializzazione presso la Scuola Quadriennale in Psicoterapia di Gruppo ITER s.r.l., A.A. 2019/20.
Abstract
Con il presente contributo ci si propone di ripercorrere l’esperienza di ricerca condotta sulla genitorialità, a partire dall’iniziale possibilità di esplorare la tematica somministrando questionari ad una parte d’utenza del Policlinico Umberto I. Ricerca che sarebbe poi esitata in tre tesi di specializzazione. La peculiarità che sopraggiungeva, costringendo il gruppo di lavoro a rivisitare il proprio progetto, è diventata poi parte imprescindibile della discussione che ha fondato i tre distinti elaborati, i quali si ricongiungono ora in una possibilità di convergenza e ri-narrazione, attraverso questo scritto. La variabile non prevista riguarda l’emergenza sanitaria, tutt’ora in corso, che ha di fatto minato la possibilità di accesso alla struttura ospedaliera.
Riconsiderati gli obiettivi di ricerca e rimodulato il protocollo, si è deciso di diffonderlo online tramite Google Form, ricorrendo a canali social ed informali.
La rinarrazione che intendiamo operare assume da un lato il vertice delle modalità con le quali il nostro gruppo di lavoro ha affrontato e significato le varie fasi del percorso affrontato, a partire dal suo costituirsi come tale; dall’altro si propone come sintesi delle riflessioni scaturite dall’analisi dei dati, in un’ottica d’interesse per la professione di psicoterapeuti gruppoanalisti alla quale ci apprestiamo.
Parole Chiave: competenza genitoriale; emergenza sanitaria; gruppoanalisi; transgenerazionale; costruzione identitaria.
Il primo aspetto che ripercorriamo chiama in causa inevitabilmente l’ingaggio per questa esperienza e il modo in cui si è trasformata in altro.
Ci riferiamo alla proposta sopraggiunta dalla direzione della scuola di formazione che frequentiamo[1] di collaborare con un medico specialista in ginecologia del Policlinico Umberto I per realizzare una ricerca in un ambito che immaginavamo essere quello della genitorialità, utilizzando la propria utenza come target di riferimento.
Il gruppo di lavoro si è quindi formato sposando l’idea di un’indagine esplorativa sul tema, orientandosi su specifici obiettivi, da perseguire tramite la costruzione di un questionario ad hoc.
E’ doveroso in tal senso un breve inciso sulle premesse teoriche che ne hanno guidato la realizzazione.
Queste si radicano nella concezione per la quale divenire padri e madri rappresenti una delle esperienze più significative “per la pregnanza affettiva che riveste, a livello individuale, di coppia, familiare, transgenerazionale e per le sue declinazioni nella dimensione del passato, del presente e nel futuro” (Manfredi, 2008, pag. 98). In tal senso, lo sviluppo di una competenza genitoriale si radica già nella storia della propria matrice famigliare e si lega alle trasmissioni transgenerazionali del proprio plexsus di appartenenza. E’ pertanto inevitabile tener conto di come esperienze passate influenzino il diventare genitori (Falgares, Guarnaccia, Infurna, 2012).
Anche Pontalti e Menarini (1985) attribuiscono al gruppo familiare un ruolo decisivo nel plasmare la personalità dell’individuo, soprattutto per le funzioni emozionali e materiali che essa svolge; in tal senso definiamo matrice familiare “la sedimentazione vincolante della storia transgenerazionale della famiglia, dei valori da essa veicolati, dei temi e dei complessi culturali che ne hanno attraversato la storia” (Giannone, Ferraro, Lo Verso, 2011, pag.85).
Ci si riferisce, pertanto, al transito da diade a triade quale fenomeno complesso che comporta profonde modificazioni degli assetti mentali, relazionali e materiali dei membri coinvolti. Nonché delle rappresentazioni mentali di sé, in relazione alla propria identità e al sovrapporsi di nuovi ruoli a quelli già esperiti (me figlio/a, me compagno/a, me padre/madre). Il genitore, in quanto etimologicamente “colui che genera” assume su di sé la responsabilità non solo di mettere al mondo, ma anche di influenzare il nascituro, partecipando alla trasmissione dei codici valoriali che sostanzieranno la sua formazione identitaria, rendendolo a sua volta complice del proseguo della storia famigliare e sociale e della produzione di inediti beni relazionali (Scabini, 2006[2]). Oltre alla mera responsabilità biologica ciò che si vuole evidenziare è l’attivazione del processo di prendersi cura, intrecciato alla propria storia di accudimento e agli strumenti a disposizione per attivare e realizzare una competenza genitoriale. Ci si riferisce nella fattispecie alla qualità dell’attaccamento prenatale e alla possibilità che questo sia predittore del futuro stile relazionale che si adotterà, inevitabilmente condizionato dal contesto socio-culturale in essere, messo a repentaglio da ciò che Ferraro e Lo Verso (2007) definiscono carenze d’inscrizione e sistemi di trasmissione disidentitaria.
Come si accennava, su tali premesse si sono delineati gli obiettivi di ricerca e la costruzione del questionario, o meglio della sua prima versione. Emergeva in prima battuta il desiderio di esplorare temi riconducibili a: l’attivazione di spazi di riflessione sulla propria storia di accudimento e la sua relazione con la rappresentazione di sé come genitore; al modo di ri-organizzarsi dei sistemi di convivenza nella fase di ampliamento famigliare; al rapporto tra storia passata di accudimento e attaccamento pre-natale; al ruolo del supporto sociale; alle rappresentazioni di sé di coppia rispetto alla competenza genitoriale acquisita o acquisibile.
Nella fase storica in cui ci apprestavamo a organizzarci per le somministrazioni, l’emergenza sanitaria è entrata a gamba tesa costringendoci di fatto ad uno stop and rewind.
La prima conseguenza è stata quella di ripensare al target a cui destinare il protocollo e quindi la modalità di diffusione da adottare. Tenuto conto delle restrizioni in vigore, l’unica via percorribile sembrava essere quella online, tramite un lavoro di passaparola e pubblicizzazione su pagine, gruppi e qualunque sito sul quale si potesse ricevere una visibilità adeguata.
Come seconda operazione è stato necessario rimodulare il protocollo provando a rispondere ai nuovi interrogativi che sorgevano. In quanto professionisti che si occupano di contesti, sistemi di convivenza e relazioni, non era possibile trascurare il modo in cui la pandemia influenzasse sui piani emotivi, relazionali e organizzativi, la gravidanza in corso. Infatti, il nostro campo d’indagine non può prescindere dal confrontarsi con le qualità contestuali, caratterizzate da dimensioni esplicite, visibili, formalizzate (ruoli, funzioni, regole…); ed implicite, non visibili, non formalizzate che però guidano il modo di rapportarsi alle prime; nonché da quella componente di connotazione affettiva ed emozionale con cui ciascuno investe e significa il proprio sistema di convivenza (Montesarchio & Venuleo, 2011). Sul piano del nostro campo di lavoro gli obiettivi di sviluppo da noi perseguiti potevano costituirsi come ostacolo nel momento in cui, a fronte di cambiamenti strutturali ed organizzativi, non fosse conseguito un cambiamento culturale della nostra “organizzazione”. In tal modo è stato possibile risignificare i nostri stessi vissuti di rabbia e spaesamento, trasformando la perdita della parte di lavoro già svolto in una nuova opportunità.
I dati del questionario[3] sono stati raccolti nel periodo da aprile a maggio 2020, complessivamente hanno risposto 110 persone, di cui 95 donne in attesa e 15 partner.
Dall’evidente squilibrio di partecipazione all’indagine sono scaturite riflessioni che intrecciano la modalità di reperimento di persone idonee alla compilazione (donne in attesa e loro partner) con gli spunti letterari offerti sulla figura del padre. Vale a dire, ci siamo chieste quanto l’emergenza sanitaria abbia inciso sulla “storica” scarsa partecipazione maschile, ulteriormente riscontrata nell’indagine non solo in termini numerici ma anche qualitativi, dal momento che veniva fortemente impedita la partecipazione alle visite di controllo o alla sala al momento del parto. Questione non banale, se riconosciamo nell’ecografia, un momento fondamentale di transizione, soprattutto per il padre, altrimenti estromesso da qualunque forma di contatto visivo o legame con il nascituro: consente non solo di confermare la realtà della gravidanza, rassicurare sulla salute del feto, trasformare il bambino “immaginario” in “reale” (Cfr. Tripani, 2010) ma anche di far “scoprire o rinforzare la nascita del sentimento di paternità e maternità” (Pennisi, Pola, 1992, pag.83) nonché, come riporta Castello (2002, pag. 195) riprendendo il contributo di Boyer, “anticipare l’assunzione dei ruoli genitoriali e quindi dei legami parentali”.
In secondo luogo, la ricerca di canali idonei di diffusione dell’inserzione ha evidenziato il proliferare di una forte rete virtuale informale a sostegno dei percorsi di genitorialità, in particolare per il ruolo materno. Ciò ha evidentemente reso più difficoltoso il raggiungimento dell’altro membro della coppia, anche in coerenza con una letteratura sul tema che da un lato descrive le trasformazioni socio-culturali degli assetti famigliari a favore di un rinnovato coinvolgimento della figura paterna, dall’altro sembra ancorarne la funzione per lo più a questioni che entrano poco nelle dimensioni emozionali-affettive del processo di genitorialità.
Prima di addentrarci nelle riflessioni, vorremmo riportare alcune delle analisi[4] condotte sul sotto-campione donne in attesa (n=95). Riguardo al sotto-campione partner non riteniamo utile invece riportare analisi specifiche, data l’esiguità numerica.
In particolare, le donne, tutte di nazionalità italiana e con un’età compresa tra 22-42 anni (età media 33,5), provengono nel 31,6% dei casi dal centro Italia, nel 27,4% dal sud ed isole, nel 22,1% dal nord-est, nel 13,7% dal nord-ovest e nel 5,3% dall’estero. Rispetto al titolo di studio più della metà delle gestanti possiede una laurea (57,9%), il 24,2% possiede un titolo di studio post-laurea, il 14,7% un diploma, il 2,1% una qualifica professionale ed il 1,1% la licenza media.
Il 57,9% delle donne in attesa svolge un lavoro di tipo subordinato, il 30,5% svolge un lavoro di tipo autonomo, il 4,2% si dichiara disoccupato, il 3,2% è una casalinga, l’1,1% dichiara di esser inoccupato, l’1,1% riferisce di esser studentessa e il 2,1% riporta “altro” come situazione occupazionale.
Tutte le gestanti dichiarano di essere attualmente impegnate in una relazione sentimentale, con una durata che varia da 1 a 21 anni, in particolare il 67,4% è in una relazione col partner da meno di 10 anni (il 41,1% tra 6 e 10 anni) e delle 37 persone che dichiarano di stare nella relazione di coppia da meno di 5 anni, 7 sono alla seconda gravidanza. Rispetto allo stato civile: più della metà delle gestanti risulta esser sposata (61,1%), il 25,3% dichiara di essere conviventi ed il 13,7% dichiara di essere nubile. L’86,3% vive assieme al suo compagno (di cui il 61,1% coniugati) ed il 28,4% ha in casa anche altri figli.
Rispetto alle gravidanze passate si riporta che nel 20% dei casi si sono avuti aborti spontanei e nel 5,3% interruzioni volontarie di gravidanza. Inoltre, nel 2,1% dei casi è avvenuta morte perinatale. La maggior parte di queste gravidanze (il 91,6%) è stata a basso rischio.
Relativamente alla gravidanza attualmente in corso si registra che per tutte le donne è una gravidanza singola, desiderata nel 87,4% dei casi ed a basso rischio nel 89,5% dei casi. Riportiamo qui di seguito un grafico da cui è possibile cogliere come le donne in attesa si distribuiscono rispetto al trimestre di gestazione (Fig. 2).
Fig. 1 – Trimestre di gravidanza
Ai futuri genitori abbiamo chiesto di indicare le fonti informative a cui eventualmente ricorrono per allinearsi su temi relativi al mondo della genitorialità. Coerentemente con quanto affermato rispetto alla ricerca di canali idonei per la compilazione del questionario il 40% riferisce di aver utilizzato o di volerlo fare in futuro letture di vario tipo e di usufruire al contempo di corsi pre-parto. Nel dettaglio dei canali percorsi per informarsi sulle modalità di accudimento il 60% adotta o ha intenzione di adottare quante più modalità che includono consultazione di siti web, testi, reti informali (amici) o formali (professionisti).
Come anticipato, è stato utile rivisitare il questionario aggiungendo domande coerenti con il contesto pandemico. A tal proposito, abbiamo chiesto di riportare con che frequenza siano stati esperiti alcuni vissuti negli ultimi 20 giorni. Come si evince dalla Figura 2, è emersa una preferenza per la preoccupazione, seguita a stretto giro dalla rassicurazione, mentre gli altri vissuti proposti hanno ricevuto meno consensi.
Fig. 2 – Frequenza vissuti
Tra l’altro, correlando i vissuti al periodo di gestazione, sembra che la preoccupazione diminuisca all’aumentare delle settimane e viceversa la rassicurazione vada ad aumentare.
In linea con il tema Covid, abbiamo chiesto di raccontare l’impatto che questo abbia avuto (o si immagina possa avere) sulla riorganizzazione famigliare. Ciò che è emerso è sicuramente il disagio legato all’improvviso isolamento, al non poter portare avanti la gravidanza come pianificato, contando ad esempio sulla rete di supporto famigliare (molto importante, come emerso dalle analisi del MSSS, il questionario sul supporto sociale). Molta preoccupazione è legata anche alla paura di non poter godere appieno dei momenti fondamentali della gravidanza, come la condivisione delle visite o del parto con il proprio partner. Emerge sicuramente un pensiero anche per la salute propria e del nascituro e la possibilità siano messe a repentaglio dalle circostanze. Sicuramente questo dato è supportato dall’aver indicato il partner quale principale persona investita di aspettative, con la quale condividere pensieri, emozioni e discussioni relative alla gravidanza. Tale aspetto correla inoltre positivamente con il “livello adeguato” di presenza di supporto sociale.
Altro aspetto degno di nota, riguarda l’aver svolto una terapia personale, che correla positivamente con l’aver affrontato discorsi sulla riorganizzazione famigliare e con la presenza di tutti e sei i vissuti indagati.
Dalle analisi condotte sulle 13 coppie a disposizione, ciò che è emerso, e che verrà ulteriormente argomentato nel successivo paragrafo, è una dimensione di adempimento della figura del partner a questioni pratiche ed organizzative. La percezione è di fornire un importante contributo all’assetto famigliare, con connotazioni tuttavia residuali ed assistenzialistiche.
Tabella 1 – Modalità gestione dopo la nascita | |
DONNE IN ATTESA: Dopo la nascita, come pensava di gestire i primi mesi di vita del bambino? | PARTNER: Dopo la nascita, come pensa di influire sulla gestione dei primi mesi di vita del bambino? |
PARTNER (3) | Che domanda è?Sollevando mia moglie da tutti i compiti dalla quale possa essere sollevata (gestione casa, spesa ecc..) ed aiutandola a mantenere dei piccoli spazi suoi, per quanto possibile, cercando al contempo di iniziare a costruireUtilizzando i giorni messi a disposizione dall’azienda e dallo stato, aiutando la mia partner nelle faccende di casa e in tutto quello che le sarà utile. |
GENITORI (1) | Discretamente |
PARTNER E GENITORI (7) | Positivamente su tutto ciò che richiede la situazioneCon il ruolo del papàAttivamenteFarò il papà come per il primo: pappa, bagnetti e annessiAssistenza al partnerEssere presente quotidianamente e contribuire alle prime necessità del bambino e della madreSarò presente fin da subito in quanto prenderò un periodo di congedo dal lavoro |
PARTNER, GENITORI E PARENTI (2) | Economicamente, supportando la mia compagna in qualunque necessitàBoh |
Ciò emerge in particolare dalle risposte fornite alla domanda riguardante la gestione dopo la nascita; si riportano in tabella (1) le risposte fornite dalle donne in attesa rispetto alle figure con cui si aspettano di condividere la responsabilità e si evidenziano le corrispondenze tra queste e la stessa domanda rivolta al partner in modalità aperta, rispetto a come ritengono di influire sulla gestione del neonato.
Inoltre, nell’esprimersi metaforicamente sui propri ruoli genitoriali (Tabella 2), ciò che si conferma è una tendenza della madre ad essere scontatamente chioccia, protagonista
attiva ed affettiva; il partner si comporta da “longa manus”, pragmatica e supportiva, dal ruolo quasi scontato o super eroico.
Tabella 2 – Metafore donne in attesa e partner
Metafore Donne | Metafore Partner |
Permissivo ma non troppo, educativo al massimo | Amorevole |
Chioccia | Padre |
Come un nido caldo e accogliente | Come un project manager per una azienda |
Sarò un giunco, cercherò di essere flessibile ma ferma nelle mie convinzioni per trasmetterle a mia figlia | Sarò come Superman |
Mi immagino come un caldo abbraccio coccoloso. | Una bocca di lupo. Accudente ma mordace. |
Presente ma donando libertà di decisione | una farfalla che aiuta la piccola a volare |
Dolcemente severa | Intellettualmente onesto |
Gelosa, iperprotettiva | Come lo scudo di Capitan America |
Un giardino | Lanterna |
Dolce, premurosa, riflessiva | Lungimirante e vigile come un’aquila |
Sufficientemente buona | Spero capace di capire tutte le situazioni e le fasi della sua crescita |
Una guida a distanza | Comprensivo |
Ho fatto un test e secondo il test potrei essere una mamma orsa e penso mi rispecchi | Come la terra che nutre una pianta, importante nel dare supporto e nutrimento, sempre presente, senza però invadere lo spazio di crescita e sviluppo |
Alla luce delle osservazioni finora condivise, ci apprestiamo ad entrare nel merito del lavoro di riflessione che possiamo condurre oggi, precipitato di tre distinti percorsi generati da una stessa matrice di significato, nella quale si apprestano a ricongiungersi.
3. Meta-riflessioni a partire da un contributo di ricerca
Come prima considerazione, vorremmo operare un parallelismo tra il nostro modo di ri-organizzarci alla luce dell’esplosione dell’emergenza sanitaria e quello delle famiglie che abbiamo interrogato. Si accennava alla rimodulazione operata sul protocollo d’indagine affinché fosse coerente e spendibile; ciò ha comportato l’inevitabile perdita di alcune parti di esso e l’aggiunta di altre ed è un tema questo, come già accennato, a rilevanza clinica oltre che propriamente gruppoanalitica. La possibilità di ripensamento dei propri programmi è stato tra l’altro uno dei temi esplorati con il questionario, volto a capire le ripercussioni delle nuove restrizioni sul nucleo famigliare. Ciò ha permesso di evidenziare quanto la donna in attesa conti sul proprio sistema di relazioni per far fronte alla gestazione ed alle necessità che questa comporta. O quanto, per lo meno, ne realizzi l’importanza in un momento critico in cui non possa più farci affidamento come aveva programmato, comportando di fatto una perdita.
Al primo posto fa capolino la figura del partner[5], fortemente investito di aspettative ed al contempo estromesso[6] da una componente che aveva concesso negli anni a questa figura satellite di conquistare dosi di compartecipazione all’acquisizione di un’identità co-genitoriale. Ci riferiamo, come già anticipato, a tutte le occasioni di partecipazione alle varie visite di controllo, ai corsi pre-parto, nonché al momento fondamentale di incontro con il bambino reale, quello del parto. Tradotto, ridotti all’osso dell’indispensabile per esigenze anti-contagio, il padre assume connotati residuali, i medesimi riscontrati dalle stesse narrazioni offerte dai membri della coppia, dalle quali emerge un equilibrio relazionale centrato fortemente sulla figura della donna in attesa; alla quale il partner è disposto ad offrire il proprio aiuto e sostegno, come può e soprattutto su un piano organizzativo-economico. La perdita, dunque, di queste occasioni di condivisione e dell’opportunità di essere nutriti da una rete di supporto, a cosa ha fatto spazio nel caso dei genitori in attesa? Con quali altre parti sono state sostituite queste mancanze?
Nel nostro gruppo, sembra che l’estromissione da certe realtà, abbia da un lato comportato vissuti di solitudine e rabbia per l’improvvisa rinuncia, dall’altra abbia comunque favorito un’attivazione nella ricerca di alternative e sostitutive attività consentite e comunque funzionali ai propri bisogni di portare avanti la gravidanza nei modi che si era immaginato. Il reperimento di canali adeguati per raggiungere persone idonee alla compilazione ci ha aperto gli occhi su quanto le donne in attesa si affidino a fonti informali per reperire nozioni orientate al soddisfacimento del “saper fare” in un presente effimero quanto il tempo di colmare quel vuoto percepito. Al contempo non manca il proliferare di canali più formali, come corsi pre-parto, orientati principalmente alla trasmissione di tecnicismi e poco interroganti aspetti altri, sui quali invece vorremmo soffermarci.
Ci riferiamo per esempio a quanto emerso all’interno del nostro gruppo, da tempo sottolineato dalla letteratura sul tema, rispetto al modo in cui la costruzione della propria identità genitoriale passi anche attraverso la riflessione sulla propria storia passata di figli. Il 70,5% delle gestanti dichiara infatti di aver ripensato durante la gravidanza al rapporto che avevano da piccole con i propri genitori. Tale riflessione si attiva indipendentemente dal numero di gravidanze anche se tende a diminuire con l’aumentare del numero di gravidanze avute e sembra accompagnare la futura madre lungo i diversi trimestri di gravidanza. Riportiamo inoltre che, nell’ambito della riflessione interiore, tale tema sia frequentemente oggetto di riflessione; il 39% delle gestanti dichiara infatti di pensarci “spesso” e il 47% “sempre”.
Riteniamo dunque possibile prodotto dell’intervento gruppoanalitico lo sviluppo di una competenza riflessiva quale capacità di (ri)leggere le proprie matrici familiari/le proprie matrici di significazione e di riconoscere il ruolo da queste giocato nella costruzione della realtà. Possibilità, dunque, di riattraversare la propria storia di accudimento, le storie dei legami di attaccamento e di rivedere il proprio modo di stare nelle relazioni giungendo a comprendere in che misura il passato continui ad influenzare il proprio esser genitore. L’esser generativi passa dunque anche per il saper rileggere in un modo altro, nuovo, innovativo la propria eredità generazionale (Cfr. Margola et al., 2007, citati in Vinciguerra, 2019). Montesarchio e Venuleo (2001) parlano di “ri-narrazione generativa”, come possibile modalità di definire il prodotto psicologico-clinico ed una concezione di cambiamento in psicoterapia, come “la possibilità di poter, grazie all’incontro con il professionista psicologo, riorganizzare diversamente e nuovamente riproporre una storia di sé che, rispetto a quella con la quale ci si presenta ab inizio, sia nuova, diversa e plurale” (Montesarchio, Venuleo, 2001, pag.8). In particolare, una storia di sé che non si sostituisca a quella del passato ma che sia in grado di “interrogarne il valore nel presente” (ibidem, pag.9).
Riteniamo inoltre che la transizione alla genitorialità richieda una costante riflessione sul rapporto tra dentro e fuori, tra passato e presente, tra continuità e discontinuità e che il modello grupponalitico sia in grado di ac-cogliere tale complessità.
4. Riflessioni conclusive
A questo punto, non ci resta che soffermarsi sull’immaginare il modo in cui attraverso strumenti e prassi gruppoanalitiche si possano realizzare scenari d’intervento nell’ambito indagato.
Il modello gruppoanalitico ha il vantaggio, sia in quanto proponente di una teoria della mente gruppale sia in quanto promotore di strumenti gruppali, di poter intervenire su più livelli, ritagliandosi in tal senso spazi di intervento sia nel rapporto diretto con un’utenza/clientela ad esempio nell’ambito di corsi pre-parto o di accompagnamento alla nascita, sia attraverso lo strumento della formazione su equipe che di questo già si occupano in contesti sanitari, sociali o di altro tipo.
La competenza può esprimersi nella capacità di intercettare potenziali domande, quanto di proporre percorsi articolati che approfondiscano le radici della coppia e siano in grado di trasformare “interessi in comune” in “identità condivisa” (Bauman, 2008), in un panorama di sempre maggiore desertificazione relazionale, difficoltà di affidarsi a una coerenza identitaria interna e reale disagio per ciò che riguarda la realizzazione dei processi di trasmissione transgenerazionale. La competenza è anche quella di fornire un ascolto a chi non sa di avere una voce e di poter esercitare una funzione genitoriale meritevole anche nell’ambito di nuclei resi ancora più complessi da difficili circostanze sociali, culturali e relazionali.
Ci si auspica che la possibilità sia quella di approcciarsi al tema da un’altra prospettiva, includente piuttosto che escludente, orientata a lavorare sulle questioni di saturità quanto su quei campi eccessivamente insaturi che rischiano di fagocitare la qualunque pur di godere della sensazione del pieno. Ci si auspica, inoltre che le possibilità di integrarsi con altre figure professionali al fine di poter lavorare per fornire strumenti di lettura ed intervento sia una condizione sempre più realizzabile e utile per coloro che si preparano a divenire genitori.
Vorremmo, infine, soffermarci su un aspetto che ci consente di ripensare ai passi compiuti nel processo di ricerca con uno sguardo d’insieme integrato e ri-narrante.
Ci sembra di cogliere il modo in cui un lavoro inizialmente pensato come lavoro di gruppo sia diventato un lavoro in gruppo; come in una collana, dove è la singolarità delle pietre a costruire la preziosità dell’insieme, e al contempo, questo insieme a dare senso alle singole pietre, la diversità delle matrici individuali che concorrono a costruire il campo intersoggettivo del gruppo è la condizione che rende possibile visualizzare il ruolo costruttivo della soggettività nella costruzione delle condizioni di sviluppo dei propri sistemi di convivenza (Montesarchio & Venuleo, 2011). A tal proposito, come già accennato, l’impossibilità di incontrare il bacino di utenza pensato come interlocutore della ricerca ha generato un ripensamento degli strumenti da utilizzare per realizzare la ricerca. E’ stato, quindi, necessario attivare un pensiero sulla scelta di modalità congrue al raggiungimento dell’utenza, quindi attivare un ripensamento del setting della ricerca. Il setting in gruppoanalisi, non fa riferimento solo a fattori contrattuali e alle regole interne che strutturano l’intervento, ma viene considerato in una prospettiva soprattutto relazionale. Come affermano Di Maria e Lo Verso (2002), il setting rappresenta il concetto e il luogo in cui il paradigma della complessità trova concretezza nel campo della psicologia clinica, e il terapeuta è considerato, nella sua soggettività, parte integrante dello spazio condiviso, non più come un osservatore avulso dal contesto. Secondo Lo Verso (1994), il setting è costituito da aspetti esterni e sociali, direttamente visibili o chiaramente definiti, dunque, da una cornice materiale e dal campo mentale dello psicologo e del cliente tra cui si andrà a strutturare la relazione. Questi elementi non possono essere concepiti in modo separato nella misura in cui non può esistere il primo senza il secondo e viceversa. In tal senso per l’autore il setting funziona come un organizzatore psichico di carattere transpersonale; vale a dire un campo mentale condiviso che consente di pensare i fenomeni e i sintomi e di dare significato ad essi e di creare nuove connessioni e relazioni.
Sulla base di questi richiami teorici si potrebbe ipotizzare che un elemento molto impattante sulla ricerca sia stato il cambio di setting dell’intervento, dovuto ad “aspetti esterni e sociali direttamente visibili”, rappresentati da un momento storico che si è insinuato nella prassi clinica tanto quanto nelle vite di coloro hanno aderito al questionario. Tale spunto potrebbe avere un valore generativo nel veicolare una riflessione su quanto e come lo spazio mentale implicato, in questo caso in una ricerca, stia subendo, nella corrente fase socio-culturale che ci riguarda, delle profonde modifiche generate dall’assenza di relazione vis a vis, e in che modo sia possibile ripensare alla sua significazione emotiva e alla sua riorganizzazione, tenendo conto dei limiti di realtà posti dalla pandemia.
In chiusura, sottolineiamo che il presente lavoro è stato anche espressione di come la funzione psicologica possa essere considerata come un processo in costruzione continua e dialettica tra ciò che è esterno che, come si afferma in gruppoanalisi, è profondamente interno. Lo stesso tipo di processo che ha a che fare con il modo in cui i campi mentali si strutturano, internalizzando e accogliendo ciò che l’ambiente ha loro da offrire.
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Le autrici
Giorgia De Fabritiis: Psicologa clinica e Psicoterapeuta gruppoanalista. Coordinatrice di servizi socio-assistenziali, Addetta Human Resources.
Katia Ruggeri: Psicologa clinica e Psicoterapeuta gruppoanalista. Dopo gli studi presso La Sapienza ha conseguito un Master in gestione delle risorse umane presso la LUMSA. Ha lavorato nell’ambito della formazione ed attualmente lavora nel campo delle politiche attive del lavoro.
Giulia Venanzangeli: Psicologa clinica e Psicoterapeuta gruppoanalista, opera come consulente tecnico di parte in processi civili e penali in tutta Italia. Responsabile della formazione in ambito della sicurezza sul lavoro, consulente per la selezione del personale, valutazione dello stress lavoro correlato. Già docente di scienze umane presso istituti secondari superiori.
Maria Rita Infurna: Psicologa clinica e Psicoterapeuta gruppoanalista, Dottorato di ricerca in Scienze Psicologiche e Sociali conseguito presso l’Università di Palermo e l’Università di Heidelberg (Germania); docente presso la ITER e l’Università degli Studi di Palermo.
[1] Ci riferiamo alla Iter – Scuola Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia di Gruppo.
[2] Ritrieved from http://www.sussidiarieta.net/files/Pdf/032006/Scabini.pd
[3] Gli strumenti che sono stati somministrati alle gestanti ed ai loro partner (in forma rimodulata e riadattata), in forma anonima e previo consenso al trattamento dei dati, sono stati: un questionario socio-anagrafico e anamnestico; la versione italiana del Prenatal Attachment Inventory – PAI (Dabrassi, 2008; Della Vedova, Dabrassi, Imbasciati, 2008); la versione italiana del Maternity Social Support Scale – MSSS (Dabrassi, 2008; Dabrassi, Imbasciati, Della Vedova); la scala di aggettivi “Caratteristiche materne di sé” (Ammaniti, Candelori, Pola, Tambelli, 1995); la versione italiana del Parental Bonding Instruments – PBI (Parker e coll., 1979; Scinto e coll., 1999 in Dabrassi, 2008) ed un questionario semi-strutturato volto ad indagare diversi aspetti: vissuti esperiti negli ultimi 20 giorni alla luce dell’emergenza sanitaria ed eventuali preoccupazioni; riorganizzazione familiare; fonti informative consultate; canali attivati per la definizione della futura modalità di accudimento; riflessione sulla propria storia passata di accudimento; elementi di continuità o discontinuità rispetto alla propria madre/padre nella futura modalità di accudimento; cambiamenti, registrati durante la gravidanza ed immaginati a seguito della nascita del bambino, nella relazione con il/la partner, la famiglia e gli amici, ecc..
[4] Le quali riguardano una parte delle analisi condotte, scelta per questo contributo sulla base delle riflessioni condivise nel prossimo paragrafo.
[5]Nel caso del nostro campione si tratta di padri biologici del bambino in arrivo.
[6] Durante il primo lockdown in vigore dal 9 marzo 2020, a seconda delle politiche adottate dalla struttura ospedaliera di riferimento.