L’ATTUALITÀ DELLA LEZIONE DI FORNARI
A cura di Manuel Bellino e Giorgia De Fabritiis
Abstract
In questo articolo attraversiamo e ri-narriamo l’esperienza di formazione, durante il lockdown, presso la scuola di specializzazione “ITER”, avvenuta in modalità online. In particolare, riflettiamo sull’analogia metaforica che abbiamo riscontrato e cominciato a rinarrare con questo lavoro, fra i gruppi esperienziali in presenza e la scrittura gruppale in remoto di alcuni resoconti clinici. Ci serviamo di un parallellismo con il film “Troy”, (2004) diretto da Wolfgang Petersen, per raccontare attraverso il richiamo all’epica, le vicissitudini di una formazione laica che vede nella posizione terza, quale categoria narratologica di significazione, la competenza ad entrare in rapporto con l’alterità e a muoversi entro sistemi complessi, propri degli psicologi in formazione psicoterapeutica. Proprio tramite questa, riusciamo ad interrogarci ed incuriosirci nell’ottica proposta da Franco Fornari, per il quale la conoscenza non risiede in chi eroga la formazione, ma si situa in un territorio di comunicazione ed apprendimento esperienziale che avviene intorno alla relazione contestuale fra specializzandi e docenti. Il risultato è un rimaneggiamento costante di categorie pre-costituite per cogliere campi insaturi e generare nuovi significati sulle narrazioni, di cui questo contributo ne è la risultante.
Parole chiave: Formazione, setting, gruppi online, epica, posizione terza.
1. L’emergenza Covid come pretesto di riorganizzazione dello spazio formativo
Il presente contributo di riflessione, a quattro mani, prende spunto dalla modalità con la quale la scuola “Iter”, per la specializzazione in psicoterapia di gruppo, si è rapportata all’emergenza sanitaria dettata dal Covid-19. Specializzandi al quarto anno, abbiamo avuto l’occasione di renderci protagonisti di un processo didattico che non è consistito in qualcosa di altro rispetto alla semplice continuità online, che proveremo a definire e ri-narrare nelle pagine a seguire.
La prima riflessione riguarda il modo in cui i dispositivi metodologici (come i gruppi clinici, i resoconti gruppali, le supervisioni, il so-stare in presenza e/o in remoto) siano contenitori dello spazio formativo e traducano il mandato istituzionale delle scuole di specializzazione; quest’ultime, a loro volta, sono garanti sia dei contenuti formativi che degli stessi dispositivi metodologici, i quali vengono veicolati secondo un’ottica circolare. Si rende in tal senso subito evidente la presenza di un’eredità della lezione di Franco Fornari (1966) nella prassi pensata e messa in opera dalla nostra scuola. Quest’ultimo insisteva sulla necessità di riflettere simultaneamente sui modelli di intervento che guidano la relazione con i clienti psicologi in formazione entro le scuole di specializzazione, analogamente a come si analizzano i modelli relazionali che sostanziano e corroborano le fantasie prevalenti dei clienti degli psicoterapeuti, nelle loro richieste espresse di rapporto. In altre parole, pur se cambiano domande e contesti, il processo di analisi della relazione (sia essa clinica, formativa, psicoterapeutica, in presenza e/o da remoto ecc.) rimane il medesimo. Perciò riteniamo che la ri-narrazione della nostra esperienza formativa da remoto, possa rappresentare un precedente generativo di una rifondazione della formazione psicoterapeutica, orientata secondo un’elaborazione fruttuosa della tendenza, propria di ogni istituzione formativa, ad agire un certo splitting epistemologico (G. Montesarchio, el al., 2010). Quest’ultimo può tradursi nella tentazione dei formandi in psicoterapia di scindersi in due ruoli apparentemente incomunicabili ed opposti fra loro: quello di psicologi e quello di studenti, analogamente a come lo psicologo viene investito esclusivamente del potere tecnico da parte del cliente che lo convoca in una relazione professionale. Crediamo, invece, che l’iter intrapreso e le reti attivate ci abbiano aiutato a ricomporre questo splitting proprio attraverso la distinzione fra i due ruoli.
2. Dallo spaesamento alla riorganizzazione di un pensiero intorno al nuovo mandato formativo
Intendiamo procedere presentando un certo tipo d’impegno al quale ci siamo dedicati durante il lockdown e prima di approdare all’analogia con il film “Troy” (2004) iniziamo a raccontare della nostra ira funesta davanti all’irreparabile: il lockdown.
Tale rabbia, se non fosse stata elaborata e trasformata, avrebbe potuto addurre luttuose paranoie fino a condurci, come espresso da Fornari in “Psicoanalisi della guerra” (1966), ad agire l’angoscia dell’estraneo e a provare un senso di colpa per essere stati al posto sbagliato nel momento inopportuno. Nei primissimi istanti, infatti, quello che poteva sembrare essere in dubbio nella propria consistenza era proprio la gruppalità, che il confinamento ed il distanziamento sociale e fisico stavano mettendo a repentaglio. Mentre pre-consciamente ci troviamo in questa specie di guazzabuglio, ecco arrivare una prima proposta formativa di ri-arrangiamento dell’esperienza didattica. È bene chiarire a quale esperienza ci si riferisca prima di addentrarsi meglio nella dinamica instauratasi a seguito della riorganizzazione.
Da prassi accademica la scuola Iter prevede la frequentazione da parte degli studenti di un weekend mensile nell’ambito del quale si affrontano, in modalità gruppale: spazi di supervisione, lezioni teoriche, attività di tutoraggio per l’approfondimento bibliografico, gruppi esperienziali. Tali attività vivono dei contributi apportati dagli studenti, secondo una metodologia attiva e partecipativa, soprattutto riflessiva delle dinamiche agite entro la relazione formativa.
Tornando all’attività proposta, questa ha previsto il costituirsi in piccoli gruppi di lavoro per produrre resoconti a partire dall’analisi del lavoro di Montesarchio & Venuleo (2006). Nel clima generale dettato da noia, spaesamento, incertezza sul futuro e tutti quei vissuti che hanno accompagnato il brusco passaggio verso le nuove restrizioni imposte, vigeva forte il rischio che con la traduzione in remoto delle attività si scivolasse in una modalità di apprendimento più passiva e adempitiva; o che i nuovi mandati venissero interpretati come dei meri compiti da svolgere per non venir meno al patto formativo. Il rischio era, cioè, che la rabbia si spostasse sull’organizzazione formativa investita del ruolo di perseguitore tiranno e foriero di “mandati punitivi”.
Ad oggi, ci sembra di poter rileggere tale evento come un’occasione di calare l’adempimento istituzionale, rappresentato dal raggiungimento degli obiettivi formativi, in un’opportunità di crescita formativa sui generis ed autonoma, attraverso un processo che fin da subito ci ha visti protagonisti di varie scelte, a partire dall’operare da noi stessi la suddivisione in gruppi e la scelta della metodologia di lavoro da adottare. Ciò nell’ottica di un obiettivo, e questo si sarebbe chiarito strada facendo, di arrivare a concepire nuove narrazioni multiple e concentriche attraverso dei resoconti-discussant con i quali avremmo declinato la lezione di Fornari (1966) operata dagli autori. Crediamo che proprio i temi emersi attraverso questo continuo lavorio siano il fulcro del discorso e possano costituire alcune coordinate su cosa, dal nostro punto di vista di psicologi e specializzandi, possa significare analisi istituzionale dei contesti di formazione psicoterapeutica.
Dunque, per prima cosa non possiamo tacere l’analogia metaforica che abbiamo riscontrato e cominciato a rinarrare con questo contributo, fra i gruppi esperienziali in presenza e la scrittura dei resoconti. Questo è stato un vero e proprio punto saliente che ci ha attraversato. Certamente non è stato un lavoro agile e la dimensione del dubbio e della confusione ci ha assalito, poiché ci siamo domandati se l’attività che andavamo facendo fosse sostitutiva, oppure integrativa di un lavoro di formazione ben più ampio. Per una terza via, riconducendo la pratica gruppale ad un vertice osservativo e meta-riflessivo, si è potuta accettare la contaminazione con un nuovo modo di esperire la gruppalità. Tale dinamica, pertanto, è diventata un pre-testo per tollerare la frustrazione di un ri-arrangiamento e del cambiamento che inevitabilmente ne conseguiva. Ebbene, mediante queste narrazioni abbiamo potuto trasformare la nostra esperienza in una opportunità polifonica attraverso la quale concepire nuovi prodotti. A partire dalla possibilità non solo di scrivere i resoconti, ma anche di leggere quelli altrui, che non sono altro che pezzi, riflessi, e sguardi all’interno o “inscapes” delle proprie parti (M. Pines, 2000). Ciò attraverso due distinte fasi di lavoro: la prima di resocontazione e la seconda di ri-narrazione dei primi lavori concepiti dai gruppi, di cui evidenziare i nuclei densi, le similarità e le originalità.
Questo secondo passaggio in particolare, ci ha fatto comprendere quanto, per la realizzazione di un apprendimento esperienziale, l’impatto del canale di comunicazione sia significativo, soprattutto se, come sosteneva Fornari (1976), affiancato anche ad altri parametri, come il codice ed il contesto. In altri termini, si può essere presenti, ma inerti, nei gruppi clinici di formazione e/o di terapia come se la sedia che si occupasse fosse vuota e, specularmente, si può essere collegati intersoggettivamente da remoto realizzando uno scambio sociale generativo che può trasformare la narrazione da come si fa a come ci si sta in un contesto di apprendimento. Detto in altri termini, il contesto, inteso quale prodotto generativo e generato da semiosi affettive plurali (G. Montesarchio, et al., 2010), non coincide con il canale comunicativo, ma lo oltrepassa. Quanto espresso, inoltre, ci ha fatto maturare la consapevolezza che l’esperienza di formazione non può essere disgiunta dalla costruzione di una comunità di soggetti che parlano, polifonicamente, la medesima lingua: quella della narrazione emozionale. Ne consegue che tale consapevolezza implica il disconoscimento di certa psicologia positiva che costringe ad una formazione ortodossa il cui obiettivo non può essere aprire a nuove domande, dovendo dare delle risposte. Crediamo, invece, che attraverso lo smarrimento dei consueti codici culturali di significazione, ci si possa posizionare rispetto alla formazione psicoterapeutica come attivatori di nuove domande che alimentano diverse semiosi (G. Montesarchio et al., 2010).
3. Troy: dal racconto epico alla ri-narrazione metaforica del formarsi durante il lockdown
Veniamo, dunque, alle connessioni colte fra lo scenario ambientale trattato nella predetta opera cinematografica e l’attualità della lezione di Franco Fornari. Il tema del film è di fatto la rivisitazione del dramma narrativo epico delle vicende della guerra di Troia, raccontate da Omero nell’Iliade; tema che alla luce del Covid-19 sembra ben connettersi con il ripensamento e la rifondazione della formazione psicoterapeutica in continuità con la Lezione di Franco Fornari. Coerenti con quanto finora espresso, dunque, proviamo adesso ad entrare nel vivo del processo ripercorrendo i codici narratologici che hanno orientato i nostri resoconti. Tramite ciò, quindi, intendiamo ri-attravesare la teoria dei codici di Fornari (1976), pietra miliare e base della sua lezione sulla laicità della formazione. Per prima cosa, ravvisiamo come a muoverci sia stato il riconoscimento, tanto nella scrittura dei resoconti quanto nel nostro cimentarci con la lezione fornariana, di un comune rifiuto della logica dicotomica propria della cultura di coppia che si esprime secondo la categoria mutualmente esclusiva dell’<oppure>, invece che per mezzo della logica connettiva del <non solo, ma anche> (Di Maria et al., 2004). Dunque, ogni logica non può che servirsi di un metodo che ci è sembrato essere quello abduttivo, esplorato entro tutti i gruppi di lavoro. Quest’ultimo prevede la ricostruzione catamnestica del processo fatto, affinché possano aumentare nuovi concepimenti ermeneutici, accettando la diminuzione delle certezze delle inferenze stesse. Da quanto detto ne consegue che diventa più probabile avere centrale un fatto marginale. Intendiamo soffermarci su questo aspetto che ci pare tutt’altro che banale o scontato. Riavvolgiamo il nastro.
Ci troviamo a ri-raccontare la nostra esperienza formativa, avvenuta secondo i canoni della laicità propugnati da Fornari (1966), durante il lockdown. Quello che potrebbe sembrare superfluo, banale, marginale o scontato, è proprio il processo stesso. Se da un lato ai fini di una didattica esperienziale potrebbe apparire inutile la riflessione sulle categorie narratologiche di significazione di alcuni resoconti, come se la formazione esistesse soltanto in un luogo deputato alla stessa, crediamo, invece, che il modello formativo dell’Iter, erede della lezione di Fornari e del suo allievo, Stefano Vanni, possa ergersi a memento del fatto che la formazione è soprattutto un assetto mentale, ovvero un setting istituente (G. Montesarchio et al., 2010). Ci sentiamo di definire quest’ultimo come un processo in divenire, dinamico e contestuale, capace di andare oltre agli agiti di cura che rischiano quelle istituzioni formative che si fondano sulle fornariane funzioni fallocentrica ed onfalicentrica. Infatti, tramite il combinato disposto di entrambe, si tende a considerare gli allievi delle scuole di specializzazione come psicoterapeuti non ancora nati, negando la professionalità psicologica su cui s’innesta, in realtà, la competenza psicoterapeutica (M. Grasso et al., 2014). In altri termini, riteniamo che il metodo abduttivo sia prerogativa di ogni possibile attraversamento di un percorso conoscitivo e di apprendimento. Ci spingiamo oltre e constatiamo che la resocontazione coincide con l’abduzione. Ecco, quindi, che appare un primo chiaro parallelismo fra il procedimento della resocontazione con un personaggio in particolare del film “Troy” e, quindi, dell’epica: Ulisse, l’ingegnoso ed il resistente. La figura di Ulisse, infatti, ci è parsa essere la cartina al tornasole dell’ottica laica proposta da Fornari. Per nulla interessato alla gloria e agli onori della guerra, differentemente dalle figure classiche degli eroi forzuti come Aiace Telamonio e Achille, scevro dai desideri di possesso di Menelao ed Agamennone, vive l’ambiguità del fatto che assedia Troia, mentre sua moglie, Penelope, è insidiata dai Proci. Ciò che lo spinge è la necessità di garantire quella relativa pace ed autonomia di cui godeva Itaca, la sua isola. Ecco che Itaca appare metafora del piccolo gruppo resocontante. Circondata dal mare, può avere scambi con le altre isole più o meno vicine e lontane, proprio perché concepita all’interno di un mare, ovvero di un’appartenenza comune che, precedentemente, abbiamo evocato come consapevolezza che l’esperienza di formazione non può essere disgiunta dalla costruzione di una comunità di soggetti che parlano, polifonicamente, la medesima lingua: quella della narrazione emozionale. Quest’ultima consente di trasformare una qualunque crisi, ovvero tutti i possibili fallimenti collusivi (M. Grasso et al., 2012) in opportunità di concepimenti di nuovi e liberi prodotti. In particolar modo, è proprio il valore dato alla potenza generativa della narrazione emozionale ad oltrepassare le mura rigide di ogni appartenenza confessionale ad un modello di formazione che, come ricorda Fornari in “Il minotauro: psicoanalisi dell’ideologia” (1977), ricerca l’accomunamento invece che orientare ed orientarsi alla competenza. Il primo è stato ed è, sovente, alla base di molti indirizzi formativi in psicoterapia, proprio perché, come enunciato da Fornari (1976) in “Simbolo e codice. Dal processo psicoanalitico all’analisi istituzionale” e, successivamente, da Montesarchio e Grasso (1993) in “Dalla supervisione all’attenzione per le dinamiche collusive. Appunti su un’esperienza di formazione clinica di gruppo” fonda l’appartenenza degli allievi alle scuole. La competenza, invece, praticata attraverso lo strumento del resoconto, forgia la possibilità che l’allievo attivi un pensiero sulla propria formazione, innescando un processo di apprendimento in itinere. Ecco allora che appare adeguata l’analogia fra tutta la vicenda dell’Iliade e l’assedio della città, con l’assillo dell’obbligatorietà alla terapia personale che alcune scuole di specializzazione propugnano ai loro allievi, quale garanzia della loro liceità a poter praticare la psicoterapia. Un’obbligatorietà che rischia di scivolare nel pericoloso adempimento, a volte tiranno sulla produzione di pensiero e sull’assunzione di quegli assetti utili, se non indispensabili, allo sviluppo di una competenza clinica. Vorremmo invece condividere come, proprio l’esperienza di resocontazione anche in tempi di confinamento da pandemia, abbia consentito di situare l’esperienza di formandi in una posizione terza. Per inciso, la posizione terza ha a che fare con la categoria clinica che esprime la possibilità che avvenga, entro una relazione, il riconoscimento dell’altro e delle sue parti “estranee” in una logica di scambio produttivo rispetto a un oggetto “terzo”, che non esaurisca la dinamica in un gioco di pretesa neoemozionale (Carli et al., 2003). L’incontro con l’alterità, che ha attraversato quale categoria narratologica l’attività di resocontazione di tutti i gruppi, diventa perno fondante e permeante, che apre alla possibilità di assumere, rispetto alla formazione, un atteggiamento di non adempitività, non direttività, non seduttività, non dipendenza, creando una frattura epistemologica con la rappresentazione del docente quale “supposto sapere” (Lacan, 1958); il quale, in virtù della sua autoritas, potrebbe esporre ad una collusione familistica ed amorale. Nella lezione fornariana, infatti, la conoscenza non risiede in chi eroga la formazione, bensì si situa in un territorio di comunicazione ed apprendimento esperienziale che avviene intorno alla relazione contestuale fra specializzandi e docenti. Questa relazione costituisce la costruzione interpretativa dell’idea di rapporto fra insegnanti ed allievi e si fonda a partire dalla domanda formativa che i secondi rivolgono ai primi. Facendo un parallelo, rispettivamente con psicoanalisi, gruppoanalisi ed analisi transizionale dei rapporti fra le istituzioni, questa posizione terza nella prima è la relazione stessa, nella gruppoanalisi è lo spazio del gruppo e nella terza può essere rappresentata come campo mentale simbolopoietico, che genera icone che consentono un pensiero simbolico. Secondo Fornari (1976), infatti, quest’ultimo ha due categorie narratologiche di significazione, definite coinemi, ovvero unità elementari di significato dotate di pregnanza affettiva. Il coinema fondante la natura è l’erotema, che condensa tutte le relazioni inerenti le vicissitudini corporee, mentre il coinema fondante la cultura è il parentema, che condensa tutte le relazioni inerenti le vicissitudini legate ai ruoli sociali. Ciò si può tradurre nella possibilità di riconoscere che l’oggetto della comunicazione, non riguardi solo il come facciamo, ma abbia a che fare con la possibilità, attraverso questo come, di fondare un’idea di rapporto basata sul reciproco riconoscimento del carattere coinemico delle istituzioni formative. Giacché esiste, ed è questo il fulcro del discorso, un livello altro rispetto all’assunzione di responsabilità di esaurire il mandato formativo aderendo ai compiti proposti, che è quello di significare le rappresentazioni, nei termini clinici di simbolizzazioni emozionali, che su quello stesso mandato insistono (Montesarchio et al., 2006).
In coerenza con la posizione terza appena assunta, nell’ambientazione mitologica evocata non ci si potrebbe schierare né con i greci, di cui si può apprezzare la costanza nell’ assediare i troiani e l’astuzia con cui entrano nel loro mondo interno e privato tramite il famoso cavallo; nondimeno si potrebbe parteggiare per i troiani, pur riconoscendo il coraggio di Paride ed Elena e la lealtà di Ettore. Fuor di metafora è ovvio che si allude, rispetto ai greci, alle scuole che richiedono obbligatoriamente la terapia personale, e, rispetto ai troiani, ai loro allievi. Sembra interessante sottolineare come il punto, per una formazione laica e non confessionale, non sia chi vinca la guerra, ma come ci si senta nella battaglia, o meglio nella contaminazione, che può essere vista come un danneggiamento di parti proprie o all’inverso come un arricchimento. O ancora, nella logica “et – et”, entrambe le cose insieme, da cui comunque nasce un prodotto, una cosa nuova che non coincide né con l’una né con l’altra.
4. Riflessioni circolari conclusive
In quanto professionisti che si misurano costantemente con l’alterità e che per mandato si muovono entro sistemi complessi, siamo chiamati a interrogarci, incuriosirci, rimaneggiare costantemente categorie pre-costituite per cogliere campi insaturi e generare nuovi significati sulle narrazioni. Con tale riflessione si torna circolarmente all’incipit di questo contributo, ed al contesto da cui ci si è mossi, quello di un’improvvisa messa in discussione di routine, certezze, abitudini. Un contesto che ha costretto a ripensare un mandato istituzionale, calandovi modalità altre di perseguire obiettivi formativi, senza rinunciare a componenti riflessive ed esperienziali che sostanziano il patto formativo, a cui siamo chiamati obbligatoriamente entro l’organizzazione “Iter”. In tal senso è tangibile l’invito di Fornari, nell’articolo principe, a porsi in una posizione analitica e critica degli spazi entro cui si agisce la formazione, con particolare riferimento al momento della supervisione “di e attraverso il gruppo” (Montesarchio et al., pag.4), nella quale tendenzialmente si agiscono le medesime dinamiche delle relazioni terapeutiche sulle quali si discute. A questa fase del viaggio siamo anche noi vicini ad imbatterci in una Itaca trasformata che c’invita a fare i conti con quei “cambiamenti intollerati” che spesso sostanziano le domande d’intervento di potenziali clienti/utenti, il cui desiderio sarebbe quello di riportare lo stato di cose al prima che intervenisse una qualche criticità. Dunque, proprio per chiudere un cerchio, o aprire a nuove riflessioni, ciò ha probabilmente a che fare con il triplo vertice suggerito dall’articolo (clinico, narrativo e resocontante) che oltre a sostanziare in eguale sostanza e importanza setting clinici, terapeutici e formativi, ha nondimeno attraversato questo contributo, proponendosi ad un livello di sintesi e ri-narrazione (alla quinta) dei contributi che hanno insistito sulla stessa opera fornariana.
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Pines M. (2000). Riflessioni Circolari. Roma: Borla.
Gli autori
Manuel Bellino: Psicologo clinico e psicoterapeuta gruppoanalista, esperto di narrazioni, formazione e cambiamento istituzionale nell’ambito dell’inclusione scolastica e sportiva e nell’ambito dell’integrazione psicosociale (trans)culturale.
Giorgia De Fabritiis: Psicologa clinica e psicoterapeuta gruppoanalista, coordinatrice di servizi socio-assistenziali e consulente in ambito HR (selezione e formazione del personale).