a cura di Eugenio Papale
Abstract
Nel seguente lavoro si vuole riflettere su quanto l’esperienza gruppale possa essere importante per l’individuo nel suo processo di soggettivazione. Verranno presi in esame alcuni costrutti teorici della gruppoanalisi inerenti al rapporto tra il famigliare e il sociale per andare a parlare di come i cambiamenti socioculturali moderni impattino sulle dimensioni interne dell’individuo e di come siano spesso fonte di disagio. Tali riflessioni vogliono mettere in luce quanto una prospettiva gruppale possa, per i professionisti che lavorano con adolescenti, sviluppare punti di riferimento con cui orientare e orientarsi nella società odierna, utile ad aiutare i giovani in quel processo di debutto sociale che prevede immancabilmente anche uno svincolo famigliare.
Parole chiave: adolescenza, sviluppo identitario, cambiamenti sociali, gruppoanalisi.
L’adolescenza è un fenomeno complesso e sfaccettato che continua a necessitare sempre di nuovi approfondimenti e riflessioni. Sebbene numerosi orientamenti psicologici la intendano come quel tempo che occorre all’individuo per integrare la propria pubertà, tale fenomeno ha iniziato ad essere visto anche da un punto di vista socio-antropologico come quel punto di passaggio tra il mondo familiare, che può essere inteso come privato psichico dell’individuo, e il mondo sociale, inteso come privato sociale. Da un punto di vista gruppoanalitico, il rapporto tra soggettività e dimensione sociale è sempre stato centrale nello sviluppo dell’identità individuale ponendolo come costitutivo, accanto alla famiglia, nella fondazione relazionale della mente umana. In quest’ottica l’adolescenza può essere intesa come un momento di crescita e maturazione che conduce il soggetto a una ridefinizione creativa ed originale di sé, dei propri codici culturali, del suo modo di significare e relazionarsi al mondo e agli altri. L’interesse per tale tematica nasce dall’esperienza clinica del sottoscritto maturata grazie ad interventi domiciliari di affiancamento a giovani con problematiche sociali, durante quella delicata fase che prevede per l’individuo lo svincolo dal proprio contesto familiare e il suo debutto sociale. Questa tipologia di intervento nel contesto della regione Lazio, secondo quanto previsto dall’articolo 26 della legge regionale n°11/2016 e dalle deliberazioni della Giunta regionale n°223/2016 e n°88/2017, fa riferimento alla predisposizione dei Servizi sociali territoriali insieme all’Azienda sanitaria regionale di un piano personalizzato di assistenza alla persona che può essere erogato da soggetti appartenenti al terzo settore, tra cui associazioni sociali competenti. Le realtà che si occupano nello specifico di questi interventi sono registrate a una lista di enti accreditati da cui i Servizi possono attingere; lista che assegna un punteggio agli enti in base ai curriculum vitae presentati, prediligendo quelle con una maggior presenza di operatori psicologi. In tali interventi quindi, l’operatore, psicologo nella maggior parte dei casi, in virtù della breve distanza di età con l’utenza, accompagna l’adolescente nelle proprie attività quotidiane, fornendogli sostegno, un rispecchiamento delle sue funzioni e delle sue capacità, nonché aiuto sia come facilitatore delle relazioni sociali, sia come specchio e contenitore di emozioni di modo da favorirne il riconoscimento e l’elaborazione. Proprio per la natura particolare di tale intervento, basti pensare alle caratteristiche estremamente variabili di setting che richiedono un continuo transitare tra contesti familiari e sociali, il professionista si ritrova continuamente a contatto con i gruppi che l’adolescente abita e con la loro rappresentazione interna: motivo per il quale un punto di vista gruppoanalitico può essere d’aiuto al clinico nel leggere e orientarsi tra la molteplicità di gruppi e contesti che il giovane vive. Per l’ottica gruppoanalitica, infatti, tali contatti con il sociale risultano una parte fondamentale nel processo di soggettivazione dell’individuo, che viene vista in perenne corso d’opera e che si sviluppa grazie a un dialogo continuo tra le sue appartenenze, la sua cultura di origine, i vincoli della società in cui è inserito, le esperienze del presente e i suoi progetti futuri. A partire da Foulkes (1957) che parlò di trasferimento della cultura e dei valori di una comunità al bambino, introducendo il concetto d’interiorizzazione delle relazioni sociali, il sociale per la gruppoanalisi inizia a diventare qualcosa di appartenente alla sfera psichica interna dell’individuo. Ciò ha portato in seguito Diego Napolitani (1987) a proporre che lo sviluppo identitario avvenisse mediante un processo di identificazione e/o interiorizzazione non più di individualità, bensì di gruppalità interne, comportando un ribaltamento dell’evidenza fenomenica per cui non è più l’individuo a formare il gruppo, ma è l’individuo a essere formato dal gruppo (Di Blasi, Lo Verso, 2011). All’interno di quest’ottica per il clinico che svolge questa tipologia di intervento il gruppo familiare rappresenta quel luogo costitutivo primario della vita psichica del ragazzo nel quale apprende come stare in relazione, quel campo mentale familiare (Menarini e Pontalti 1986; Pontalti, 1996, 2000, 2005), quella dote psichica originaria, che Napolitani (1987) chiama Idem, che agisce da primo filtro con il mondo esterno e nel quale si ripercuotono tutti i cambiamenti culturali e sociali. L’Idem rappresenta quel bagaglio culturale e di conoscenze trasmesse transgenerazionalmente all’individuo dal proprio gruppo e che egli dovrà risignificare originariamente mediante l’Autós (Napolitani, 1987), ovvero mediante il proprio personale e peculiare intervento sul mondo. Per farlo l’adolescente deve sperimentare qualcosa che sia altro dalla cultura familiare, contesti gruppali formali e informali, realtà complesse e multiformi che in misura e con modalità differenti entrano a far parte, influenzandolo, del suo sviluppo identitario, incontrandosi o scontrandosi con gli innesti più o meno inconsci dell’individuo (Di Blasi, Di Falco 2011). Ma sperimentare questo altro per gli adolescenti di oggi risulta sicuramente una sfida impegnativa visto che viene richiesto loro di entrare all’interno di una società sempre più complessa, i cui contenitori istituzionali e culturali, che caratterizzano gli aspetti psicosociali del vivere umano, sono in profonda modificazione. Tali modificazioni si ripercuotono sulle dimensioni gruppali, sociali e di identità personale del giovane, andando a mettere in discussione quelli che sono i punti di riferimento con cui può orientarsi all’interno della società. Pensiamo a quanto la concezione di famiglia sia cambiata negli anni, spostandosi dall’essere, nella prima metà del secolo scorso, quell’universo etico-normativo, quel laboratorio sociale formativo del futuro cittadino, teso verso la trasmissione di regole e principi, contiguo alla società, con la quale condivideva referenzialità in un rimando reciproco, al diventare quel luogo degli affetti rassicuranti, bonificato e edulcorato dai conflitti, orientato ad ottenere obbedienza attraverso l’amore e il consenso (Di Blasi, 2003). Dal dopoguerra l’istituzione familiare ha iniziato a delegare a istituzioni esterne molte delle proprie funzioni tradizionali, portando il ruolo genitoriale a spostarsi dalla funzione di “mettere dentro la mente ed il cuore del figlio rappresentazioni precostituite di ciò che deve essere o apprestarsi a divenire” (Pietropolli Charmet, 2000, p.44), a quella che Calvaruso (1986) definisce “funzione ancillare”, che porta madri e padri a essere generosi dal punto di vista materiale, ma ambigui e sfuggenti rispetto alla propria funzione affettiva. Sul versante sociale, ovvero quell’altro che dovrebbe aiutare il giovane a risignificare la propria cultura familiare, pensiamo invece a istituzioni come la scuola che spesso non riescono a perseguire i propri compiti sociali tradizionali, quali trasmettere conoscenze, preparare al lavoro, garantire la promozione e la mobilità sociale, in un mondo globalizzato e ipertecnologico dove le competenze trasmesse vengono percepite dai giovani come molto lontane da quelle richieste dal mercato del lavoro (Gasperoni, 1997), fatto che li porta spesso a una solitaria autonomizzazione verso nuovi ambiti. Questi cambiamenti richiedono oggi agli adolescenti una notevole capacità di orientarsi e adattarsi di fronte a regole, valori, modalità relazionali e organizzative, che variano spesso da un contesto all’altro, compito che presuppone flessibilità mentale e capacità di tollerare l’incertezza legata alle situazioni complesse. Nell’ottica gruppoanalitica, le nuove forme di sofferenza psichica giovanile possono originare in questi profondi cambiamenti culturali che richiedono alla famiglia e alle varie istituzioni sociali di mettere in atto nuove strategie di adattamento al contesto: ciò ha una ricaduta sull’individuo in quanto questi sono i gruppi che in un modo o nell’altro egli attraversa e le cui complesse interazioni psichiche vanno a formare le varie dimensioni del proprio transpersonale, come le ha approfondite Lo Verso (1984, 1989, 1994). Ad esempio, se prima il problema della famiglia patriarcale era l’eccessiva saturazione del pensiero familiare, che impediva la creazione di nuovi significati al suo interno senza che tutto il sistema entrasse in crisi reagendo violentemente, oggi, il pensiero familiare risulta pericolosamente insaturo, vuoto di cose da connettere e rielaborare che rendono difficile per l’individuo quel processo di risignificazione, essenziale alla propria differenziazione (Ferraro, Lo Verso, 2007). Questo venir meno del pensiero familiare implica il venir meno di quel primo sistema di riferimento, di quella bussola utile ai giovani nel decodificare e comprendere le coordinate del mondo. A questo, si aggiungono le conseguenze della crisi dei contesti tradizionali di trasmissione di significati e dell’abbattimento delle dimensioni di socializzazione verticale in favore di quella orizzontale: ossia la percezione di un orizzonte temporale focalizzato su una dimensione di sempre-presente a discapito di un passato scarsamente utilizzabile e di un futuro dai contorni incerti ed imprevedibili, a tratti spaventosi. Quello che viene a mancare è quel legame di continuità tra passato e futuro, uno spostamento dell’asse da una verticalità passato-presente-futuro, su cui tra l’altro la teorizzazione psicodinamica è abituata a impostare la propria analisi, a una orizzontalità di presente-presente, che mette in crisi nell’individuo la costruzione del proprio progetto esistenziale, assieme al rapporto con il suo transpersonale. Non a caso molti giovani fuggono dall’incertezza, dall’inadeguatezza e dall’ansia di cui la società moderna è pervasa cercando rifugio nel digitale, in un sempre-presente immutabile, in un tempo extra-ordinario del divertimento e del piacere che, come un rimedio magico, permetta di non entrare in contatto con la realtà vissuta come angosciante. Il pensiero da parte del clinico che si occupa di adolescenza, rispetto ai cambiamenti che stanno avvenendo a livello culturale nei contesti familiari e nei contesti sociali altri, nonché alle ripercussioni che tali cambiamenti hanno sull’individuo, gli è utile nello sviluppare dei punti di riferimento per orientarsi nella complessità odierna, così che possa fornire quella guida e quell’aiuto necessario al giovane per muoversi liberamente all’interno dei propri gruppi di appartenenza. Inoltre, facendo riferimento alla tipologia di intervento sopracitata, è da notare come alcune sue caratteristiche peculiari quali la vicinanza generazionale e l’orizzontalità del rapporto che si instaura tra giovane utente e professionista, sono di fatto dimensioni utili non solo a favorire l’identificazione con un modello sano e funzionale, ma anche a ristabilire quel codice fraterno (Fornari, 1977, 1985) del confronto e dell’incontro con il nuovo, che sembra essere stato messo in crisi da una società che spinge sempre di più a percorsi solitari di individuazione privi di contatto relazionale. Se i giovani di oggi sembrano essere caratterizzati da un orizzonte temporale di sempre-presente, incapaci di recuperare una propria narrazione passata e di proiettarsi nel futuro, gli obiettivi di tali interventi di affiancamento dovrebbero essere uno smussamento di queste condizioni mediante il recupero di una dimensione narrativa di ciò che si è e si è stati, che possa accompagnare l’adolescente nello sviluppo di una progettualità su ciò che vorrebbe diventare. Una psicologia clinica che pensa alle dimensioni narrative dell’individuo come qualcosa che gli permetta di rinarrarsi e rinarrare la propria storia anziché rimanere in una dimensione temporale statica, è una professione che si interessa e lavora per elicitare nuovi significati, per promuovere cultura e sviluppare quei contesti sociali che un domani ci troveremo ad abitare.
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L’autore
Psicologo clinico e specializzando psicoterapeuta ad orientamento gruppoanalitico. Esperto di dipendenze tecnologiche, lavora con associazioni impegnate nel trattamento del disagio giovanile.